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 2020  aprile 05 Domenica calendario

Quanto vale l’economia in nero in Italia

Economia sommersa: quella che viaggia a pelo d’acqua, appena al di sotto della superficie della legalità. Un sistema parallelo che naviga a quota periscopica. Difficile da mappare. In molti casi espressione di mera necessità di sopravvivenza, in altri di una pianificata scelta di travisamento per sfuggire agli scanner fiscali e contributivi. 
Secondo l’Istat l’economia sommersa è stimata in poco più di 190miliardi. Ben altri numeri quelli di Eurispes, Istituto europeo di Studi Politici, Economici e Sociali: i miliardi sarebbero 540. La differenza (non da poco) si spiega con le diverse metodologie per soppesare il fenomeno (vedere articolo a fianco). Diversa anche la quantificazione sul peso complessivo dell’economia illegale o criminale. Per l’Istat pesa 17,2 miliardi. Secondo Eurispes supera, e di molto, i 250 miliardi. 
Ci si troverebbe, dunque, a fare i conti con tre Pil: uno (ufficiale) pari a oltre 1.700 miliardi di euro, uno (sommerso) pari a 540 miliardi e uno criminale da 250 miliardi. La presenza di un “sommerso” di queste dimensioni indica che, almeno in parte, abbiamo a che fare con un sistema produttivo parallelo e non tracciato che, in caso di emergenza nazionale (cioè precisamente ora), è costretto a chiudere i battenti ma, almeno in teoria, non può essere supportato da manovre assistenziali pubbliche perché se ne ignora l’esistenza. 
Stiamo parlando di sacche di sommerso che operano in settori nevralgici come l’agroalimentare, la grande distribuzione, i mercati ortofrutticoli, il trasporto su gomma, il turismo, l’industria manifatturiera, soprattutto tra i terzisti. E come fa il sommerso “organizzato” a pagare stipendi, forniture, locazioni? Il rischio è stato sottolineato di recente dal procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho e dal procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri: che le aziende più esposte si rivolgano alle mafie o ne vengano sedotte. Perché quei 250 miliardi che derivano da corruzione, smaltimento di rifiuti, traffico di stupefacenti, di armi, di esseri umani, dalla prostituzione e dal gioco d’azzardo, sono tutti cash e tutti a caccia di facili reimpieghi. «Quello delle infiltrazioni mafiose non è certo un problema di oggi – spiega Giangaetano Bellavia, membro del Comitato antimafia del Comune di Milano e consulente tecnico della procura milanese nell’inchiesta sulla presenza delle ’ndrine all’ortomercato di Milano – semmai l’emergenza nazionale in corso rappresenta un moltiplicatore molto pericoloso proprio perché di difficile quantificazione». 
«Se la disponibilità di cash è già una commodity preziosa in tempi normali, in situazioni di emergenza sistemica lo diventa ancora di più – spiega Salvatore Ricci, già ispettore di Banca d’Italia e dell’Unità di informazione finanziaria e ora consulente tecnico antiriciclaggio per alcune procure italiane: –Il fenomeno tocca l’intera comunità nazionale, ma nel Mezzogiorno assume caratteristiche molto particolari perché alla supremazia economica si aggiunge il controllo “militare” del territorio–. E Ricci aggiunge – : «i settori interessati dal fenomeno sono molteplici, penso ai servizi ausiliari della sanità pubblica e privata (i servizi di pulizia, lavanderia, ristorazione) ma anche quelli ausiliari degli uffici pubblici. Per non menzionare il settore del turismo». 
«Attenzione però: qui però non parliamo di usura tradizionale, quella di quartiere, spicciola, quella che si occupa di esercizi pubblici, bar, pizzerie, pur se si tratta di un fenomeno rilevante. Qui parliamo di ben altro: del sistema di credito mafioso alle imprese – spiega Roberto De Vita penalista e docente all’Accademia della Guardia di Finanza –. Accade che le organizzazioni criminali prestino denari anche a tassi inferiori rispetto a quelli bancari garantendo sopravvivenza alle imprese e consolidando il consenso sociale. Lo scopo ultimo non è, infatti, il soffocamento dell’attività: ma assumerne il controllo diretto, disinteressandosi della sua gestione ma utilizzandola come base per il reimpiego di capitali sporchi: cioè riciclaggio». «Occorre però fare attenzione a non confondere il mondo del sommerso con quello dell’economia criminale. – spiega Gian Maria Fara, presidente dell’Eurispes –, sarebbe un grave errore: perché gran parte del sommerso ha rappresentato, e tuttora rappresenta una sorta di self welfare che ha consentito e consente a milioni di famiglie di arrivare a fine mese. 
Ben diverso è il profilo dell’economia criminale: quei 250 miliardi (che secondo autorevoli fonti investigative sono assai di più), è acclarato, si muovono oramai più nel mondo dell’alta finanza che in quello dell’economia reale». 
Il rischio – paventato da molti osservatori – però è chiaro: che nel la cosiddetta Fase 2 del Covid 19 almeno in parte quei soldi vengano distolti dalle attività di reimpiego finanziario per andare a tappare le falle aperte di intere filiere di piccole imprese. Soprattutto le più deboli. Cioè quelle in cui si dispiega una simbiosi del tutto peculiare tra economia legale ed economia sottotraccia. Per esempio quelle manifatture di terzisti che al mattino lavorano per marchi noti e al pomeriggio producono per il parallelo se non per la contraffazione. Sarebbe l’impossibilità oggettiva di fare fronte a obbligazioni contratte in tempo di normalità (dal pagamento dei salari in nero o in chiaro, al pagamento dei fornitori) a spingere le aziende verso il bacio della morte del “pronta cassa” a strozzo.