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 2020  aprile 05 Domenica calendario

Intervista a Hans-Ulrich Obrist

Hans-Ulrich Obrist è il direttore artistico delle Serpentine Galleries di Londra. È nato nel 1968 e ha organizzato la prima mostra nella cucina di casa nel 1991, quando studiava politica ed economia. Ha curato più di 300 mostre dopo la sua prima, World Soup (Küchenausstellung-The Kitchen Show). 
Perché ha dedicato la sua vita all’arte contemporanea?
«Sono nato nel maggio ’68 a Zurigo e una seconda volta nel maggio 1985, sempre a Zurigo, quando ho visitato gli studi degli artisti svizzeri Peter Fischli e David Weiss e ho visto la loro straordinaria opera d’arte, The Way Things Go, un fantastico film di reazione a catena. Quel giorno, a 17 anni, ho deciso che volevo lavorare con gli artisti e fare il curatore. Il pittore tedesco Gerhard Richter mi ha detto che l’arte è la più alta forma di speranza. Ecco perché ho scelto l’arte, perché ha a che fare con la speranza: se vogliamo affrontare le grandi sfide del nostro tempo è importante mettere in comune la conoscenza. Il lavoro del curatore riguarda la condivisione della conoscenza».
Cosa è cambiato da quando ha fatto la sua prima mostra?
«Tutto e niente. A quel tempo non c’era internet. Era prima dell’era digitale, che ha cambiato diverse cose. Oggi alle Serpentine Galleries abbiamo un programma di nuovi esperimenti con l’arte e la tecnologia, e anche con l’intelligenza artificiale. Al momento abbiamo una mostra dell’artista cinese Cao Fei, in collaborazione con l’azienda tecnologica Acute Art. Per ora abbiamo reso disponibili online le mostre in corso, Cao Fei e Formafantasma, in diversi modi, lavorando in collaborazione con partner come Nowness ed e-flux».
Cos’è l’arte oggi?
«Lavoriamo con diverse generazioni di artisti, compresi i giovani, e li aiutiamo al loro esordio. Viviamo in un’epoca in cui siamo inondati di informazioni ma allo stesso tempo abbiamo poca memoria. Ecco perché, accanto agli artisti emergenti, mostro spesso pionieri che non hanno avuto la visibilità che meritavano. Così abbiamo recentemente organizzato alle Serpentine una mostra di Luchita Hurtado intitolata I Live I Die I Will be Reborn. Luchita ha 99 anni ed era legata al surrealismo e alla prima arte ambientale, ma non aveva mai esposto in un museo».
Perché gli artisti sono così importanti?
«Perché spesso servono come un sistema di allerta. Come diceva Marshall McLuhan: "L’arte nella sua forma più significativa è un sistema di preallarme su cui si può sempre fare affidamento per dire alla vecchia cultura cosa le sta accadendo". L’arte evidenzia i nuovi sviluppi nei tempi a venire e ci permette di affrontarli. L’arte consente di esplorare nuovi linguaggi: così fa ad esempio l’artista Ian Cheng di cui ho curato la mostra Emissary in the Squat of God e che ha esposto alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Madrid. Ian Cheng sta lavorando sulla realtà simulata dimostrando che le opere d’arte sono un sistema nervoso centrale».
Cosa succede oggi al mondo dell’arte con il Coronavirus?
«Siamo tutti sotto shock in queste drammatiche circostanze. Innanzitutto ora si tratta di salvare vite. Poi potremo anche pensare all’arte e al modo in cui potrà funzionare in auto-isolamento. Al momento molti musei sono in diretta streaming e questo porta a un enorme consumo digitale: è importante sfidare il consumo passivo dello spettatore. Molte persone negli ultimi giorni hanno twittato "do it", un mio progetto del 1990 di istruzioni fai-da-te degli artisti per l’uso domestico ma anche di istruzioni su cosa possiamo fare per gli altri, cosa fondamentale nell’attuale crisi». 
Come si possono aiutare gli artisti in questi tempi?
«È un momento difficile per tutti. È fondamentale sostenere gli artisti e il ruolo della cultura. Come ha detto Ben Okri la scorsa settimana, "Abbiamo bisogno dell’arte per ricordarci perché vale la pena vivere. Abbiamo bisogno dell’arte per risvegliare il nostro senso della meraviglia, per ricordarci la nostra libertà... Quando meno ce lo aspettiamo, riusciamo a essere più di noi stessi. E il cuore di questo è l’immaginazione. Ciò che possiamo immaginare, la volontà può raggiungere". L’arte è uno strumento per unire luoghi, idee e stili di vita, per affrontare i problemi più terribili con onestà e speranza». 
Ovviamente già in passato ci si è trovati in circostanze drammatiche e gli artisti ne hanno tratto ispirazione.
«Questo ci riporta alla prima domanda. Mi ha chiesto cosa è cambiato dalla mia prima mostra e ciò che è cambiato radicalmente è l’ambiente. Viviamo in un’era di disastri ecologici e assistiamo all’estinzione di molte cose, tra cui le lingue. Molti artisti hanno affrontato e anticipato questa crisi. È per questo che alla Serpentine abbiamo un progetto di ecologia generale e stiamo mostrando i progetti e le campagne degli artisti collegati all’ecologia». 
Lei è anche un intervistatore. Perché?
«Penso che sia molto importante ascoltare gli artisti, le altre persone, il pianeta, gli alberi. Ascoltarsi a vicenda. Penso anche che il motore sia la curiosità. Il mestiere del curatore è collegato alla curiosità. Ho raccolto 4.000 ore di materiale, e l’ho fatto perché voglio condividere le mie conversazioni con gli artisti con altre persone. Alla base c’è la generosità, l’idea che chiunque possa ascoltare le loro parole. Forse l’idea è dare alla gente una sorta di cassetta degli attrezzi».
L’arte contemporanea è destinata a durare?
«L’arte è ciò che si ricorda di più dei tempi di Goya, più di ogni altra cosa. Più di ogni politico. La grande arte può durare. Come mi disse una volta Mario Merz, è molto difficile durare, ma i grandi artisti del nostro tempo dureranno nel tempo, come Goya. Ciò che sarà ricordato del nostro tempo saranno gli artisti e l’arte».
(traduzione di Carla Reschia)