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 2020  aprile 05 Domenica calendario

La solitudine di Ibrahimovic

Il Milan non è più la squadra per Ibrahimovic. Lo sente anche lui. Il progetto è di contenimento, si cercano giovani ubbidienti. Lui non c’entra niente con quel progetto. Non vogliono faccia il vecchio padre, che parli con i giovani del suo calcio. Il Milan non cerca più il calcio di Ibrahimovic, un fantastico attaccante nomade che ha vinto troppo ma dovunque. Come se non avesse patria, una motivazione da spartire. Il Milan cerca un calcio comune, di qualità ma automatico. Chi ha troppo amore per se stesso non entra nel meccanismo. E indubbiamente Ibra si ama molto, più passa il tempo e più si ama. Ma non butta via il tempo, ha il diritto di credersi il calcio, come ha scritto nelle sue biografie. Nessuno ha fatto quello che ha fatto lui. Sta accanto a Messi e Ronaldo, un passo dietro a Pelè e Maradona. In quattordici anni ha vinto dodici campionati in quattro nazioni e in sei squadre diverse. Ha segnato 478 reti in 797 partite. Non ha mai vinto una Champions nonostante il nomadismo nobile. È stato spesso confrontato con Van Basten ma sono cose diverse, un calcio quasi opposto all’altro. Nel paragone gioca il ruolo e l’aver cominciato nell’Ajax. Van Basten era più elegante, aveva più classe pura. La differenza di Ibra è sempre stata la capacità di mettere insieme tecnica e velocità in un fisico massiccio. Van Basten è stato costretto a finire presto, Ibra avrà 39 anni il 3 ottobre e gioca ancora. A volte mi sembra di ricordare un Ibrahimovic migliore all’epoca dei suoi vent’anni, prima di venire in Italia. Non era ancora strutturato fisicamente. La palestra gli ha dato forza e tolto leggerezza. A vent’anni nell’Ajax Ibra non spostava gli avversari, li saltava. Era meno potente ma forse più giocatore. Un nove e mezzo come avrebbe detto Platini, a cui per paradosso assomiglia nella solitudine del gioco, negli angoli di partita in cui si estranea e nella prepotenza con cui domina la sua parte di gara. Non ha mai avuto voglia di essere un centravanti vero, ma nella Juve lui e Del Piero in coppia sono stati forse il meglio del calcio d’attacco. Nell’Inter ha avuto Crespo e Cruz a tenerlo più libero. Ha avuto spesso un rendimento inferiore in Champions, è stato il suo vero limite, almeno nelle conversazioni da salotto, altrimenti sarebbe stato con Cruyff il migliore del dopoguerra in Europa. Le partite di Champions hanno un limite per giocatori di grande personalità: sono molto tattiche, conta troppo il risultato. Stretto dentro gli schemi Ibrahimovic soffre, s’intristisce perché è convinto di essere lui qualunque schema e invece viene saltato, moderato, ridotto a pedina di un gioco complessivo. Credo più a una pessima miscela psicologica che a un limite tecnico. Ibrahimovic ha sempre portato spettacolo dovunque. È stato però uno splendido individuo, non un fuoriclasse universale. Come Messi d’altra parte, che non è mai riuscito a costruire una squadra con la sua classe, ma a completare, a dare un senso alla classe di tutta la sua squadra. Ibrahimovic non ha giocato per gli altri, lo scopo doveva essere lui. E questo gli veniva benissimo. Maradona è stato un fuoriclasse universale, Bobby Charlton, Pirlo, il secondo Pelè, Valentino Mazzola e a tratti Sandro. Non Rivera, non Totti, più morbido rispetto a Ibrahimovic ma con la stessa vocazione ad essere l’unico. Anche se il calciatore perfetto, l’incrocio esatto tra un artista e l’atleta, è stato Cruyff, il primo giocatore dell’anno che verrà, un continuo futuro in marcia. Tutto questo per dire che ognuno si porta dentro la sua circostanza. Ibrahimovic è valutato molto ma meno di quel che ha fatto perché è stato di troppi, la gente del calcio vuole scordarti appena lasci il gruppo. Non è un limite che non abbia mai vinto il Pallone d’oro pur essendo stato undici volte candidato. È solo uno scandalo. Ma Ibrahimovic nel suo vagare è stato come avesse preso in giro tutti. È stato un eterno rifiuto. Non è un caso abbia comprato un’isola in Svezia. Quell’isola è lui, la sua necessità di essere solo, non avere un volto, appartenere a nessuno.