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 2020  aprile 04 Sabato calendario

Intervista a Leonardo Del Vecchio

Leonardo Del Vecchio, fondatore di Luxottica e principale azionista del gruppo italo-francese EssiLux, da circa un mese lavora da casa dirigendo le operazioni di messa in sicurezza di dipendenti e fabbriche. Dall’alto dei suoi 84 anni, un’azienda creata da zero e diverse crisi sulle spalle, si dice sicuro che il mondo riuscirà a ripartire. «Come ci risolleveremo dipenderà molto dalle scelte che faremo in questo periodo iniziale della crisi. La mia strategia da sempre è anticipare mai seguire».
Cavalier Del Vecchio, i vostri stabilimenti in questo momento sono chiusi, e così alcune delle vostre catene di negozi. Come vive questa situazione?
«Quando sono entrati in vigore i provvedimenti che hanno ordinato la chiusura dei negozi abbiamo deciso di fermare anche la produzione, sempre in totale accordo con i sindacati. E quando sarà possibile riaprire in piena sicurezza, lo faremo con più slancio e passione di prima».
Pensa che si potrà ripartire di slancio una volta che il pericolo di contagio sarà ridotto?
«All’inizio si andrà a ritmo un po’ lento, diciamo al 50%, sufficiente a pagare affitti e personale. Da settembre in poi la situazione potrebbe iniziare a migliorare ma qualcuno potrebbe non riaprire, soprattutto le imprese e gli esercizi più piccoli e fragili. Alcune grandi imprese potrebbero essere costrette a sacrificare molti posti di lavoro. A queste categorie dovrà essere garantito un aiuto importante e soprattutto tempestivo. Arrivare tardi vorrebbe dire sprecare risorse preziose».
Gli Stati Uniti hanno però aperto il paracadute da 2000 miliardi di dollari. Basterà secondo lei?
«La cifra messa in campo dagli Stati Uniti è effettivamente ingente, ma non dimentichiamo che bisognerà risollevare diverse industrie, come i trasporti e l’auto. Credo che abbiano fatto bene a stanziare risorse così consistenti. Gli Stati Uniti durante l’ultima crisi finanziaria hanno dimostrato come tutti i loro investimenti abbiano dato ottimi risultati e permesso al Paese di entrare in uno dei momenti più floridi della loro storia».
E l’Europa sarà in grado di mobilitare risorse sufficienti a far ripartire l’economia post virus?
«Credo di sì, l’Europa dovrebbe mettere in campo uno sforzo quantomeno proporzionato a quello americano. Le economie più deboli dovrebbero essere al centro di questa azione comunitaria: è forse questa la grande occasione storica per riequilibrare le differenze anziché accentuarle, con aiuti economici che abbiano il vero spirito della solidarietà e non nascondano vecchie logiche di influenza».
L’Italia sta chiedendo all’Europa un pacchetto di risorse pubbliche. E’ una richiesta giustificata?
«Sì, di questi investimenti l’Italia deve beneficiarne per una buona parte. Ovviamente andranno ad aumentare il suo debito pubblico, purtroppo non esiste altra soluzione. Ma se a indebitarsi sarà l’Europa nel suo complesso i tassi di interesse saranno più bassi di quelli nazionali e tutti ne trarranno beneficio. Lo Stato in questa fase deve garantire un aiuto importante alle piccole imprese, in sinergia con il sistema bancario».
Cosa si aspetta dalla politica italiana?
«Determinazione, rapidità e forte senso di giustizia nel decidere e intervenire. Tutti devono aiutare anche a cambiare strada se questo sarà necessario. Io cerco di affrontare una cosa alla volta, prendendo decisioni coraggiose ma riconoscendo subito gli errori se occorre, anche se la politica, certo, è più complessa di un’azienda. Ho vissuto le bombe e la guerra, la fame e la povertà. Da tutto questo ne potremo uscire solo in due modi: con la rabbia lasciata correre per le strade, o puntando sul sacrificio e sulle energie di tutti per ripartire assieme. Il rischio più grande è arrendersi a problemi che sembrano troppo grandi, senza affrontarli, e alla tentazione di guardare solo a noi stessi».
A proposito, lei ha donato 10 milioni di euro e respiratori all’Ospedale Fiera di Milano. Ha altro in mente?
«La Fondazione e la mia famiglia vogliono fare la loro parte, ma lo faremo con discrezione. L’esperienza di Milano come tutta la nostra sanità ci stanno dimostrando che siamo un Paese che può essere diverso. Finora pensavamo che il pubblico fosse meno efficace del privato. Credo che migliaia di medici e infermieri che ogni giorno rischiano la loro vita abbiano dimostrato che non è così. Spero che questo senso di orgoglio del lavoro rimanga anche in futuro».
Oltre la Fondazione, anche le grandi aziende come la vostra hanno una responsabilità in questa fase così difficile?
«Essere grandi vuol dire farsi carico di grandi responsabilità, verso le persone ma anche verso tutte le aziende del mercato. Per noi sarà l’occasione per riorganizzare l’intero settore dell’ottica, portando efficienza a beneficio di tutti e maggiore servizio ai clienti e ai piccoli operatori. La visione di azienda a rete che stiamo costruendo per EssiLux ora diventa quanto mai attuale ed essenziale, perché da questa crisi ci salveremo solo se ne usciremo tutti. Metteremo la nostra tecnologia e le nostre piattaforme al servizio di ogni operatore per dare maggiore forza alla ripresa e fare sì che tutti ne possano beneficiare. Condivido le parole illuminate del Papa, nessuno si salva da solo. È vero oggi anche sui nostri mercati, ma non bastano però le parole, dobbiamo per primi dare l’esempio».
Come crede ci ritroveremo alla fine dell’emergenza?
«Il mondo non sarà più lo stesso ma potrà essere anche migliore. Da questa esperienza forzata stiamo imparando molto, sul come usare le tecnologie ma anche il nostro tempo. Cambierà radicalmente il modo di lavorare così come il modo di stare insieme. La privazione ci sta facendo capire il valore delle cose: certe non ci mancheranno più, altre sapremo che sono preziose. Colpisce il senso di solidarietà, la preoccupazione vera dell’uno per l’altro. Nel lavoro si stava perdendo questo senso di appartenenza, la vera essenza che rende forti le aziende ma anche la nostra idea di civiltà».