il Fatto Quotidiano, 4 aprile 2020
Torna il pamphlet di Fabio Mauri contro i grafomani
I libri nel cassetto? È meglio lasciarli nel cassetto: la smania di esprimersi, di aver qualcosa da dire, di scrivere pensierini pensosi qualifica solo i “cattivi poeti”, al più gli psicotici. Contro i grafomani compulsivi torna ora il muriatico pamphlet di Fabio Mauri (1926-2009), scrittore “melancomico” e guru dell’editoria: 21 modi di non pubblicare un libro è uno spassosissimo “vade retro” alla nutrita tribù di aspiranti romanzieri, ancor più affollata oggi, in tempi di reclusione, da blogger, twittaroli, instapoet, social-stalker e whatsappisti.
Vent’anni dopo la prima edizione del 1990 (con i tipi del Mulino), Longanesi ha ripescato questo libello con prefazione di Umberto Eco, collega di Mauri in Bompiani per circa vent’anni, entrambi afflitti dall’“odio incondizionato che ogni redattore prova verso i manoscritti: chi li manda a una casa editrice è condannato ipso facto alla non pubblicazione. In letteratura, ahimé, non c’è democrazia”. Ecco una cernita di (non ancora) libri da ardere e dei loro autori, ritratti dalla penna biforcuta di Mauri.
I Pazzi. “La percentuale di stravaganti”, che gravita attorno alle case editrici, “è alta, mediamente più che attorno a una clinica per schizoidi”. L’unica attenuante per costoro è che non siano veri e propri “pazzi, ma sciocchi” che hanno “l’intenzione di esprimersi. L’espressione, in chi non ne fa professione, dà il negativo immediato dell’uomo minore oltre che patologico”. Come insinuava il cinico Fortini: “Mai così bene come nell’attività pseudo-artistica la personalità nevrotica si prende per autentica”. E a quanti minacciano il suicidio, è bell’e pronta la risposta: “Le rinviamo il suo dattiloscritto e, a parte, una corda e un chiodo”.
Nessuno escluso. Medici, avvocati, casalinghe, contadini, politici, giornalisti…. Tutti, prima o poi, diventano portatori sani (ma anche no) di manoscritto. Non ci sono solo i “pirla”.
Sentimentali. A costoro “il manoscritto appare quale forma sensibile dell’anima”. Ad avercela, l’anima. Un vero autore dovrebbe tenere sempre per sé “il miserabile mucchietto di segreti” (© Malraux). Sono proprio “le nevrosi, o le ‘anime’, l’intera Corte dell’Inedito a generare la distruzione delle case editrici. Vi insinua soffi di angoscia, per motivi di semplice analogia”.
Zero tituli. La gabbana, “romanzo rosso, ma anche verde”; Verremo domani o dopo; Note bianche come pétule; Il Piloro, firmato da un medico omeopatico; La tiratura è amore, opera di un cronista; La Merde, “un testo che non si nasconde la realtà”; “quattro poesie lunghe, dal titolo rilkiano, La giovinezza, se tra i quaderni”.
Pigri. Chi ha il romanzo “tutto in testa” si premura di mandare intanto la scaletta, assicurando l’acquisto in massa del libro da parte delle Biblioteche del Pomeriggio e l’assegnazione di diversi blasoni già concordati, come il Premio Femminile di Alta e Media Cultura.
Sequel. I pennivendoli di scarsa fantasia, ma grande autostima, tentano di emulare gli Antichi maestri, cimentandosi nei seguiti di Pinocchio o del Don Chisciotte, dei Promessi sposi o del Vangelo, affabulato da punti di vista diversi. Barabba è il più gettonato. E pensare che aveva poche battute.
Di genere. Gli aspiranti giallisti propongono succosi retroscena sulla “Vercelli più nera e la verità più esplosiva su una certa società che gira attorno alle drogherie”. Gli erotomani mandano invece minute descrizioni di orge in collegio, deflorazioni di belle educande e autoerotismo nel tinello.
Raccomandati. I più si fanno accreditare da personalità note, ma solo a loro: il professor Zappullo, famoso “per i suoi studi su Il Rinascimento e lo Ionio”; il dottor Calisi, primario di Oftalmica a Bari; illustri professionisti di Nuoro; la nipote Silvia; il dottor Cilli, i cui 45 impiegati si candidano per un’opera collettiva… Ma la raccomandazione più efficace resta quella di una ex suora di clausura, sulla cui fascetta promozionale suggerisce di scrivere: “Questo libro è piaciuto moltissimo a Dio”.