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 2020  aprile 04 Sabato calendario

Orsi & tori

«...Io sono profondamente genovese – e mi lasci dire che la mia città ha dimostrato solidità e orgoglio – e profondamente italiano. Ma sono anche europeo, di natura e di fatto, da sempre. Un europeo mediterraneo che nel ’68 è emigrato a Londra, poi ha aggiunto alla cittadinanza italiana quella francese. Guardando il mosaico da lontano (come facevano gli artisti a Ravenna per valutare la loro opera) vedo un disastro, non tanto per i quattrini, ma per la mancanza di solidarietà. Cosa ci vuole per capire che l’Europa è un’immensa unica città? Con i suoi boschi, i laghi, i fiumi, le montagne; ma senza nessun deserto. Abbiamo ancora molto cammino da fare...».Renzo Piano, Corriere della Sera,2 aprile 2020

Ha ragione il mio amico Renzo, il cammino di un’Europa vera è ancora lungo nonostante uno sconvolgimento, anche degli animi, come quello provocato dal virus. Tuttavia, lo sconvolgimento qualche cambiamento lo sta portando: per esempio, la posizione dura dell’Olanda, paradiso fiscale a cui le aziende italiane contribuiscono. Per esempio, la durezza del primo ministro Mark Rutte traballa un po’, soprattutto per l’azione del D66, il partito dei liberali di sinistra che fecero la scissione nel 1966. Non è quindi escluso che Angela Merkel si possa trovare più isolata, non fosse altro anche per le posizioni dei socialisti della Spd, che sono con lei al governo ma non condividono l’oltranzismo della cancelliera. Di ciò si è accorta Ursula von der Leyen, che ha rettificato un po’ le posizioni negli ultimi giorni.
L’Italia e il resto d’Europa che soffre non possono tuttavia aspettare la maturazione di coscienza della Merkel o del primo ministro austriaco Sebastian Kurtz. Per questo, come ha suggerito Mario Draghi («Orsi&Tori» di sabato 28 marzo), l’Italia deve procedere da sola, come ha fatto la Francia, ben cosciente il presidente Emmanuel Macron che comunque la Bce, dove si vota a maggioranza e la Germania è minoritaria, può dare liquidità a tutti. La Francia ha stanziato 300 miliardi di garanzie dello Stato, attraverso la banca pubblica BpiFrance, per far arrivare, attraverso il sistema bancario, tre mesi di fatturato delle aziende.
Draghi non si stanca di ripetere che l’Italia deve fare lo stesso e deve farlo immediatamente per evitare il disastro. È partendo da queste posizioni che MF-Milano Finanza ha lanciato l’appello al presidente Giuseppe Conte a fare presto, prestissimo e nella maniera giusta. L’appello è stato firmato da 135 rappresentanti di tutti i settori e delle varie aree geografiche dell’economia italiana, a cominciare dal presidente della Confindustria, Vincenzo Boccia, da Marco Tronchetti Provera, Patrizio Bertelli con Miuccia Prada, Emma Marcegaglia, industriali solidissimi come Giampiero Benedetti di Danieli acciai, a imprenditori come Piero Antinori, Diego Della Valle, Luca Montezemolo, i rappresentanti di Confcommercio, Confagricoltura, di Confimprese. Ha firmato anche Gian Maria Gros–Pietro, che non è solo un grande economista industriale ma anche presidente della prima banca del paese, Intesa Sanpaolo.
La categorica indicazione di Draghi, i molti interventi giornalistici, in primo luogo di questo giornale, e l’appello ultimo stanno generando il tentativo di recupero dei 10-12 giorni persi rispetto alla rapidità di Macron, che pure appoggia la posizione di Conte in Europa. Nel fine settimana, ha promesso il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, incalzato anche dai 5Stelle che per bocca del sottosegretario Alessio Mattia Villarosa hanno chiesto appunto, 300 miliardi di stanziamento di garanzie statali ma non solo per le aziende bensì anche per gli individui e le famiglie, in aggiunta agli interventi, non certo sufficienti, già fatti. Aiutare ancora di più gli individui e le famiglie fa parte della tradizionale politica dei 5Stelle, ma l’impegno per le aziende segnala che qualcosa il virus sta facendo anche rispetto alla linea politica del movimento (od ora è un partito?), peraltro al netto del fatto che Villarosa è laureato in economia aziendale a Pisa ed è imprenditore nel commercio.
Rispetto ai 300 miliardi richiesti da Villarosa, ma corrispondenti anche al reale fabbisogno come ha dimostrato la Francia, Gualtieri sta andando verso i 200 miliardi, perché ragiona che quanto già esiste, 53 miliardi di garanzie gestite per le pmi dal Mediocredito centrale, fanno leva per 300 miliardi. Questa non è una visione positiva del ministro, anche perché la garanzia di Mediocredito non è al livello di quella che dovrà essere stabilita, almeno il 90%, nel decreto in preparazione.
Qui, sulla garanzia, potrebbe cadere l’asino. Infatti, le banche vorrebbero il 100% per ragioni tecniche e giuridiche. Infatti, dato che le attività economiche (o larghissima parte di esse) sono già bloccate da un mese, e per questo Draghi invitava a essere immediati, le banche stanno già assistendo a sconfinamenti, cioè al superamento degli affidamenti, e a debordi. Per molte aziende si sono quindi già create le condizioni per cui le banche, seguendo le regole del Meccanismo unificato di vigilanza, non potrebbero più concedere altro credito e nello stesso tempo a questi crediti non può essere concessa, in base alla normativa vigente, nessuna moratoria. Ovviamente, più si aspetta e più, da questo punto di vista, la situazione si deteriora. Per questo le banche vorrebbero una garanzia del 100%, operando in questo caso, per una necessità straordinaria, di fatto per conto dello Stato. Ma il governo non intende andare oltre il 90%, ritenendo che quel 10% di rischio delle banche sia adeguato al loro mestiere.
A ciò le banche ribattono citando le varie sentenze della Cassazione che condannano penalmente le banche, i banchieri e i bancari che hanno concesso denaro a chi non aveva la capacità di restituirlo. Quindi, se la garanzia sarà al 90% è indispensabile che nel decreto sia previsto che su questi crediti non potrà essere applicata la norma penale. E comunque la garanzia dovrà essere concessa a prima richiesta.
Le banche hanno poi un’altra preoccupazione, legittima, e cioè che la presentazione dell’operazione non si presti minimamente all’equivoco che il denaro vada alle banche, che già sono state oggetto di polemiche per quanto riguarda i salvataggi. Quel denaro pubblico è per le aziende, per salvare le aziende, e le banche fanno da canale tecnico di erogazione, avendo la garanzia dello stato attraverso Cdp.
Come si comprende, sbloccata la situazione grazie all’intervento di Draghi, alle spiegazioni della visione di Draghi sull’Italia date da questo giornale e altri quotidiani, il modo in cui il decreto sarà scritto è fondamentale. E in genere fra la decisione del Consiglio dei ministri e la stesura del testo tecnico passano non pochi giorni, generando spesso complicazioni, equivoci e conseguenze negative, non certo per incapacità dei funzionari dei ministeri ma per le infinite interferenze, connessioni e intrecci dell’enorme quantità di leggi, anch’esse spessissimo scritte in maniera non chiara e che si prestano a doppia, tripla e anche quadrupla interpretazione.
Questo handicap tutto italiano si palesa ovviamente in maniera clamorosa quanto più veloce deve essere l’azione di governo. Per questo, paradossalmente, il virus sta facendo esplodere le enormi deficienze della macchina dello Stato, di cui si è avuta enorme evidenza per il caso degli acquisti di prodotti sanitari. Con l’onestà che lo contraddistingue, il capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, ha riconosciuto in un’intervista che la gravissima contaminazione di oltre 10 mila operatori della sanità, la morte di 60 medici e più infermieri, è stata influenzata fortemente dalle difficoltà di acquistare mascherine professionali, tute, caschi protettivi ecc. «Perché», ha detto Borrelli, «il virus corre più veloce della burocrazia». E soprattutto, se ci sono norme non chiare, i funzionari dello Stato non firmano, temendo che il pm di Canicattì (è un modo di dire) li denunci penalmente. E proprio per questo, gli ospedali sono diventati il principale centro di contaminazione.
Per il caso del prossimo decreto sulle garanzie, per 300 o 200 miliardi che siano, è auspicabile che siano usati i migliori cervelli del settore del credito, che non mancano. Fra l’altro, c’è la favorevole circostanza che l’attuale direttore generale di Banca d’Italia, Daniele Franco, è stato per molti anni Ragioniere generale dello Stato, sintetizzando anche l’esperienza di situazioni di emergenza come la grande crisi finanziaria dopo il 2011. Non avrebbe senso non coinvolgere Banca d’Italia nella stesura del decreto. Bankitalia non è più, perché non sono più quei tempi, la banca di Guido Carli o Paolo Baffi, che era fucina di servitori dello Stato di assoluta eccellenza, avendo dato perfino due presidenti della Repubblica, come Luigi Einaudi e Carlo Azeglio Ciampi, oltre che numerosi presidenti del consiglio e ministri.
Ma l’operazione di salvare le aziende senza creare problemi alle banche è un’operazione troppo importante, in realtà fondamentale, per non avviare un nuovo spirito e una nuova tecnica di scrittura delle norme, che dovrebbero essere brevi, univoche e chiare da leggere da parte di tutti.
Non vi è dubbio che in Italia solo la Costituzione, nata dopo la grande tragedia della guerra, ha queste caratteristiche. La tragedia del virus dovrebbe essere presa come occasione d’oro per avviare una vera rivoluzione che ovviamente deve riguardare tutto il sistema dello Stato e la burocrazia che ne consegue. Si è ripetitivi a dire che lo Stato non riesce a far partire e portare a termine le opere pubbliche; che non riesce a far spendere i soldi stanziati e in particolare quelli che vengono dall’Europa, giustificando (si fa per dire) le critiche che arrivano dai paesi del Nord Europa; che la giustizia è ondivaga fra giustizialismo e tolleranza; che con le procedure di acquisto oggi in vigore non è stato possibile per troppe settimane dotare gli ospedali e il personale di essi delle sufficienti protezioni... Il cahier de doléance potrebbe durare all’infinito.
Si colga allora questa occasione per usare gli anni che rimangono della legislatura per affrontare con l’urgenza e la determinazioni delle guerre, quantomeno una legislazione che preveda poteri di emergenza a fronte di tragedie nazionali. Ma, soprattutto, si faccia tesoro delle esperienze negative e drammatiche che si stanno vivendo per decidere un grande lavoro di riesame fondamentale della legislazione e di uno sfoltimento della stessa. Non dico che si nomini una commissione parlamentare ad hoc, perché anche le commissioni parlamentari fruttano spesso altre complicazioni. Non spetta a un giornale indicare quale possa essere la soluzione di un problema che si trascina da decine e decine di anni se non secoli, vista la dominazione borbonica di larga parte dell’Italia attuale, ma certo se si perdesse questa occasione, sarebbe un delitto per il Paese.
Questo giornale crede che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non solo per il suo ruolo ma anche per la sua competenza in materia di diritto, potrebbe dire parole importanti e potrebbe spingere perché il Paese cambi.
Del resto, in talune emergenze la reazione è stata tempestiva e di successo. Si pensi al ponte di Genova tanto caro a Piano. Il modello è il commissario che di volta in volta ha poteri di agire sfrondando l’iter delle decisioni da prendere e attuare. È un’ipotesi.
In questa direzione, il cambiamento di approccio che si percepisce, anche se occasionale, da parte dei 5Stelle, forse consapevoli che il populismo non paga, potrebbe essere di aiuto, avendo fra l’altro il ministero della giustizia, Alfonso Bonafede. Che ha un’occasione unica per aiutare a risolvere il problema della responsabilità penale delle banche, dei banchieri e dei bancari per un’erogazione straordinaria come quella per la quale proprio il suo partito ha spinto.