Avvenire, 4 aprile 2020
Stefano Bollani risuona a suo modo “Jesus Christ”
Un nuovo luminoso tassello nella caleidoscopica carriera di Stefano Bollani. Tutto è compiuto, verrebbe da dire. Visto il tema scelto e visto l’approdo dopo la lunga e subliminale gestazione del progetto. Dalla folgorazione a 14 anni avvenuta al cinema, fino all’uscita ora del suo Jesus Christ Superstar.
Con il beneplacito, a scatola chiusa, di Andrew Lloyd Webber musicale artefice (insieme al paroliere Tim Rice), mezzo secolo fa esatto, dell’opera rock diventata film tre anni dopo. «Ho chiesto l’autorizzazione e mi è stata concessa – spiega il 47enne pianista milanese, indefesso globetrotter geografico e musicale –, nonostante Lloyd Webber non ami che le sue musiche vengano eseguite diversamente da come le ha pensate. Non ci siamo incontrati e ci siamo parlati solo per canali ufficiali, ma gli ho mandato il disco e ora sono in attesa di un suo parere ». Piano Variations on “Jesus Christ Superstar” (prodotto da Alobar 1007, l’etichetta indipendente dello stesso pianista) è uscito ieri, in un momento cruciale e delicato per tutti. Ed è contagiosa l’empatia che trasmette Bollani rileggendo commosso il suo «pezzo del cuore, dalla prima volta che l’ho sentito fino ad oggi», Everything’s Alright. Che è poi, al presente, lo slogan di questi giorni di pandemia: andrà tutto bene.
«L’aspetto positivo di una situazione di emergenza come questa – ci dice Bollani dalla sua casa di Roma – è che ognuno di noi sta facendo il massimo, a partire dai medici e da tutti i sanitari. E per chi, come me, non può fare altro che stare in casa l’ideale è costruire dentro di sé questa trasformazione in atto. È la prima volta che viviamo questo “qui e ora”. Siamo di fronte a un mistero. E io mi trovo in questo momento alle prese addirittura con il mistero di Gesù. Nel disco e nel film si indagano i rapporti tra Gesù e i suoi sodali. Giuda tradisce perché ha paura di un mistero che non sa contemplare, gli apostoli lo tramandano come possono e Maria Maddalena, invece, questo mistero lo abbraccia. Solo adesso, dopo tanti anni, mi sono accorto che è Maria Maddalena la figura più potente attorno a Gesù. E alla fine anch’io ho fatto come lei, ho abbracciato quest’opera e quello che rappresenta. Mi attraversa da più di trent’anni e l’anno scorso all’improvviso mi sono deciso a entrarci fino in fondo con la mia musica e con tutto me stesso.
Bollani folgorato sulla via di Damasco?
«No, su un’amaca. È un progetto che covava in me da sempre, ma stavolta mentre ero lì sdraiato a pensare mi sono detto: ora lo voglio fare. Solo dopo mi sono accorto dei 50 anni dell’opera: una coincidenza perfetta».
Perché questa lunga attesa?
«Forse perché era stata tale la folgorazione, che questa musica mi sembrava qual- cosa di intoccabile. Solo in un secondo momento ho cominciato anche a interrogarmi più a fondo anche sulla figura di Gesù. Da allora ogni volta che rivedo il film, e sarà capitato trenta volte, scopro nuovi significati. Così accostarmi ora a quest’opera rileggendola con il mio pianoforte è stato un momento sacro e gioioso. Due aggettivi che metto sempre insieme, li percepisco come la stessa cosa. Che questo disco esca poi in un momento così particolare, con tutti noi in casa e questa emergenza sanitaria, è un ulteriore segno che mi colpisce, oltre al fatto che tra pochi giorni è Pasqua».
In Jesus Christ Superstar però la resurrezione non c’è.
«Manca perché quello degli autori è un punto di vista che non la contempla. Ma la storia di Gesù anche senza la resurrezione è già ricca di insegnamenti e segni incredibili riguardo al nostro atteggiamento nei confronti della vita. Quello che ho sempre ammirato in Lloyd Webber e Rice è stato il coraggio di avere affrontato una cosa così importante. Avevano poco più di vent’anni e si sono messi in testa di scrivere un’opera rock sulla vita di Gesù rischiando di offendere tutti. Il risultato è che la vicenda di Gesù è arrivata ad ancora più persone, grazie anche alla forza della musica e del canto. La struttura è quella dei vangeli apocrifi e c’è un intento didattico. Come se dicessero: attenzione, siamo nel ‘68 e la storia di Gesù ha ancora un sacco di cose da dire a tutti».
E a lei cosa dice?
«Che tutti i personaggi protagonisti di quegli ultimi giorni di vita di Gesù siamo noi. Io sono Giuda, sono i Sommi sacerdoti, sono Erode e Ponzio Pilato. Gesù invece rappresenta la vita. Noi dobbiamo perciò stare attenti a non crocifiggerla. Smettendola, per esempio, di concentrarci sulle brutture, ma considerando la vita di ogni giorno come un faro, una luce che ci guida. Chi mi ha creato lo ha fatto perché io compia grandi azioni, non perché mi deprima. Abbiamo visto proprio in questi giorni il senso profondo del fare insieme la stessa cosa nello stesso momento e in ciò riconoscersi fratelli, magari cantando dai balconi e dalle finestre. E in quest’opera è Gesù stesso che canta. Ecco perché ne sono rimasto folgorato. Gesù agli apostoli canta la vita. Perché la vita è canto. Anche quando li rimprovera, perché li ama. E chi ama canta».
Ma Gesù incarna anche la dimensione ultramondana...
«Dal punto di vista di Lloyd Webber e Rice se ci fosse stata la resurrezione la storia avrebbe però perso il suo succo: loro volevano parlare di Gesù e dell’amore. In qualche modo per loro bastava la sola umanità di Gesù, a prescindere dalla sua divinità».
E per Bollani?
«Io amo molto ciò che, per quanto mi riguarda, chiamo mito della resurrezione, perché che dalla vita terrena si possa risorgere a nuova vita è un’idea che dovremmo aver presente tutte le volte che apriamo gli occhi la mattina. E mi colma di gioia la notizia meravigliosa che benché si tenti continuamente di uccidere la vita mettendola in croce, non ci si riesca mai perché la vita risorge e anzi è più splendente di prima per le prove che affronta. È una cosa che non posso affermare di sapere, ma che vedo lo stesso chiaramente perché la percepisco con il cuore e non la concepisco con la mente. Questo ci riguarda tutti, a prescindere dal credo religioso».
In un solo brano del disco lei canta, perché?
«Sì, in Superstar. In questo brano quasi conclusivo Giuda viene fatto cantare con graffiante tonalità soul, io invece qui sussurro. Prima per me Giuda, il traditore di Gesù, era il male assoluto. Ma se parliamo di male assoluto siamo fuori strada. Perché Giuda è dentro di noi, rappresenta la nostra umana paura che ci impedisce di fidarci. Allora ecco che dobbiamo scavare dentro noi stessi per migliorarci. E smetterla di uccidere il Cristo che è dentro ciascuno di noi».