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 2020  aprile 04 Sabato calendario

Storia dell’epidemia in Mongolia del 1918

Si fa tanto parlare del “diritto alla conoscenza” e poi nulla si sa in merito a quello che è accaduto in Cina nei mesi che hanno preceduto l’epidemia di Covid–19 in Italia. Erano già noti i casi di peste polmonare verificati in Mongolia nel novembre 2019 che si sono espansi in Cina, dove, sembrerebbe “improvvisamen-te”, è esploso il caso “Wuhan” che ha messo in evidenza la mancanza di un piano di prevenzione e l’incapacità di applicare tempestive misure di emergenza.
Non è la prima volta che focolai di peste polmonare si manifestano in Cina; fin dal XX secolo un missionario, il francescano padre Antonio Cipparone, che aveva avuto l’incarico dal governo italiano di monitorare il passaggio dall’Impero alla Repubblica cinese, dava notizia di un’epidemia di peste polmonare in Mongolia nel 1918 che si era espansa nel Nord della Cina. I suoi diari rinvenuti nell’Archivio storico della provincia religiosa Salernitano– lucana, sono stati pubblicati nel 2012. Da essi emergono similitudini e riflessioni che contribuiscono alla lettura di quello che oggi in Italia stiamo vivendo.
Cipparone scrive da Daiyuanfu (Shanxi) nei primi anni della Repubblica cinese. Siamo nel Nord della Cina e si dà notizia di una epidemia di peste scoppiata in Mongolia. Le Legazioni straniere da quella inglese a quelle italiana e francese, preoccupate per le sorti dei loro connazionali, chiedevano notizie al dottor Ho Feng Cheng (presidente dell’Associazione medica dello Shaoxing nello Zhejiang) che tornato dalla Mongolia portava informazioni della peste. All’inizio non si era compresa la reale portata del problema fino a che i primi casi di peste portarono misure restrittive da parte del Governo, a seguito delle quali il popolo cinese, preso dal panico, si dette alla fuga. La posta subì un arresto e si sospettava che i sacchi postali fossero infetti. Le autorità raccomandavano massima pulizia, tenere pulite le vie delle città, di portare le mascherine e disinfettare tutto. La naftalina, che era il loro disinfettante, subito fu esaurita dalle farmacie, si faceva largo uso di acido fenico e ci si industriava a fare le mascherine anche con le scarpe delle donne. Tutto venne bloccato, il commercio subì un arresto, si chiusero alberghi e si arrivò alla sospensione del pagamento delle tasse. Si circolava solo muniti di autocertificazione scritta e la polizia cercava di togliere dalle strade i tanti derelitti. Il picco era previsto in primavera. Si adottarono sempre maggiori e restrittivi provvedimenti con nuovi decreti governativi man mano che sopraggiungevano notizie di altri luoghi infetti; nei decreti si indicava la profilassi da adottare, mentre i medici spiegavano la sintomatologia. La zona “rossa” venne estesa fino alla Grande Muraglia. Si sospettava di tutti e si paventava un complotto da parte degli europei; da poco c’era stata la guerra dei Boxer. Si cercava un nemico a tutti i costi e quale miglior nemico che lo straniero? “Fearing the Other”. La paura, come sempre, fa vedere nemici là dove non ci sono, e tranquillizzare il popolo di qualsiasi epoca rende la situazione emergenziale più difficile. Gli ospedali erano carenti e poco forniti. I medici delle Legazioni misero il loro sapere a disposizione e confrontandosi con i medici cinesi non ebbero come rimedio che mascherina, igiene e pulizia ed evitare, per quanto possibile, di fare elevare polvere perché poteva contenere microbi. Si davano indicazioni anche ai sacerdoti che amministravano i sacramenti, far bollire il creosolo, portare la maschera, e al ritorno lavare la veste in acqua bollente così anche faccia, mani e testa. Furono chiusi i cimiteri e sospese le cerimonie religiose.
L’Echo de Chine riportava notizie del settentrione il numero dei decessi appariva contrastante. Inizialmente i Mandarini negarono l’infezione: proprio come oggi la Cina si è mostrata reticente fin dall’esordio del Covid– 19 negando la reale situazione, nel vano tentativo di poter arginare il problema. Fu nominato un ispettore per coadiuvare gli aiuti e sovraintendere i soccorsi. Si proibì ogni comunicazione con la Mongolia. Non vi fu altro rimedio che l’isolamento, ma nonostante tutte queste restrizioni il virus andava avanti per la propria strada falcidiando la popolazione cinese. Gli intellettuali di Datong arrivarono alla conclusione che per il bene pubblico bisognava isolare i pestosi e i sospetti, e non i malati cronici e quelli non infettivi.
All’epoca i cinesi facevano fuochi per conciliare gli dei penati, che ritornando in cielo portassero buoneparole per non far infierire la peste. Da statistiche ufficiali risultava che al 21 gennaio 1918 i decessi fra le due Muraglie erano 120. Si decise di isolare la Mongolia. Molti furono i viaggiatori respinti dal cordone sanitario. Si separarono negli ospedali gli ammalati onde evitare contaminazione. Furono creati ospedali ad hoc per gli appestati. Molti medici furono contagiati dai loro pazienti, mancavano medici ed infermieri. Gli infermieri non volevano restare per paura di contrarre il morbo. Intere famiglie furono decimate, molti non avendo mascherine passavano con circospezione portando la manica per coprire la bocca ed il naso, infatti molti proteggevano queste parti con delle fasce, mentre altri lasciavano libero il naso quasi i microbi non potessero essere aspirati.
Il primo caso è datato 17 Novembre 1917 pertanto viene da chiedersi, vista la data d’inizio, se la “spagnola” di cui tutti parlano non sia stata originata proprio dalla Mongolia.Annota padre Cipparone: «Generalmente la peste comincia, nel soggetto colpito, con brividi in tutto il corpo ed esauri- mento generale di forze con prostrazione, segue forte dolore di testa con dolore e strette al petto di modo che la respirazione si fa difficile e stentata. Dopo sopravviene la febbre, la tosse con spurghi sanguigni o vomito di sangue che segna la fine dell’appestato. Il volto dell’infermo, molto rosso prima, prende una tinta di sangue guasto e prima della morte diviene giallognolo. Si sente molta sete, ma non si mangia. Conservano l’uso dei sensi, ma sembrano semidormienti. Prossima la morte, la respirazione si fa molto accelerata. Chi prese la peste da uso di oggetti, contatto di appestati può vivere fino a tre e quattro giorni. L’infezione cadaverica produce la morte lo stesso giorno. I bambini difficilmente prendono la peste. Per poter prendere la peste basta visitare, toccare usare oggetti, avere relazioni con famiglie infette. L’infezione avviene per contatto e non per aspirazione di microbi».
Senza essere medici e non sapendo se i sintomi siano stati simili, viene comunque il dubbio, visto che si è sempre detto che la “spagnola” si sia modificata durante il trasmigramento, se effettivamente non si tratti della stessa malattia.Nella Seconda settimana di aprile, con l’avvicinarsi della Pasqua proprio come oggi, iniziavano ad esserci meno casi, le porte delle città si riaprivano, ma la quarantena veniva ancora fatta osservare. In alcuni luoghi la peste era quasi terminata. La superstizione nella Cina del 1918 aveva attribuito la fine della pandemia a un servizio di carri che man mano che avanzava apriva nuovi scenari fino a giungere alla fine della pandemia.
«Nel Sud non fu la peste, come si disse, a fare delle vittime, ma un’infezione difterica con localizzazioni polmonari, malattia anche terribile per esito o contagio, che uccise una quarantina di bambini». Anche oggi in Italia sembra che il virus si sia espanso in modo orizzontale e che esso sia stato più aggressivo al Nord che al Sud del Paese. Viene da chiedersi non solo se esista un legame fra la peste polmonare in Mongolia del 1918 e l’epidemia di “spagnola” nello stesso anno, ma anche se ci sia una relazione tra la peste polmonare in Mongolia nel novembre 2019 ed espansa in Cina e il caso “Wuhan” scoppiato a distanza di pochi giorni.
Nonostante siano tante le ricerche attive nel mondo per individuare un vaccino efficace, mentre sperimentazioni di farmaci cominciano a dare, in alcuni casi, risultati soddisfacenti, ancora non si è giunti ad una soluzione definitiva. Forse bisognerebbe iniziare proprio dallo studio dei medici delle Legazioni straniere presenti in Cina nel 1918 che collaborarono con i medici cinesi. Le nuove tecnologie potrebbero avvalersi dei vecchi studi questo per affermare o scartare ipotesi di ricerca. Quasi tutto è stato scritto: non ci resta che riscrivere la storia.