Tuttolibri, 4 aprile 2020
Storia della Lehman Brothers
A volte, gli economisti raccontano storie migliori di quelle dei narratori. Così Mario Vargas Llosa cominciava la sua Prefazione a un libro dello studioso peruviano Hernando de Soto. Certo è che l’economia non è altro rispetto all’esperienza umana. Semmai l’economia è il terreno su cui si sfidano gli Ettore e gli Achille dei nostri tempi, il campo in cui fioriscono le idee nuove, la battaglia delle idee e dei valori. Ma non è detto che una grande storia trovi un grande narratore.
È il caso della Storia della Lehman Brothers, 1844-2008 di Peter Chapman, proposta in italiano da 21 Editore. Il giornalista del Financial Times ha per le mani la vicenda della grande banca d’affari fallita il 15 settembre 2008, ma più che altro cuce assieme, come una coperta indiana, racconti e citazioni altrui. Soprattutto, ha ben chiara la lista dei buoni e dei cattivi.
Il più cattivo dei cattivi è Dick Fuld, che di Lehman scrisse l’ultima pagina. Fuld, un tipo arrogante, passò alle cronache come una sorta di malvagio da fumetto, emblema del capitalista che si arricchisce a spese di lavoratori e risparmiatori. Col tempo alcuni studi hanno chiarito che Fuld perse lui per primo un sacco di soldi, all’incirca un miliardo di dollari, nel fallimento della sua azienda. Ciò non significa, ovviamente, che gli incentivi fossero necessariamente ben allineati: che, cioè, le retribuzioni stellari degli anni precedenti il 2007 non avessero spinto i manager a prendere rischi eccessivi. Vuol dire forse però che in pochi avevano ben chiaro contro che razza di muro stessero andando a sbattere: quei pochi fecero soldi a palate, storia, questa, che ha raccontato il Michael Lewis di The Big Short.
Chapman purtroppo è di altra pasta, calibra la sua prosa sui giudizi più che sui fatti. Eppure. Eppure la storia dei Lehman è talmente appassionante che riesce a liberarsi dai limiti di chi la scrive. E’ la storia di Hayum Lehmann, anglicizzato Henry Lehman, figlio di un mercante di bestiame della cittadina bavarese di Rimpar sul Meno, primo abitante di Rimpar a lasciarla per l’America. Lì arriva e compra merce a credito per rivenderla negli insediamenti che costeggiano il fiume Alabama. «Faceva il venditore ambulante di prodotti agricoli e casalinghi: attrezzi, semi, bicchieri, stoviglie, semplici articoli di merceria, lenzuola di cotone e roba del genere». E’ soldato semplice di un esercito di piazzisti, che nei suoi ranghi annovera nomi destinati a diventare famosi: «i Gimbel, i Goldman, i Guggenheim». Apre un emporio a Montgomery e, appena le circostanze lo consentono, si fa raggiungere dai fratelli Emanuel e Mayer. Il primo traffico nel quale hanno successo è il commercio di cotone, che spinge l’economia del Sud.
Henry muore nel 1855 di febbre gialla («Da queste parti si può guadagnare bene», aveva scritto ai parenti in Germania, «se non ti viene la febbre»): una malattia infettiva che causava l’itterizia (di qui l’aggettivo gialla) e che era causata dalla zanzara (allora non si sapeva). I suoi fratelli si dividono, fra l’Alabama e New York, che vuol dire fra il Sud e il Nord. Durante la guerra, i due riescono a spostare cotone aggirando il blocco navale di Lincoln. Emanuel, da New York, va spesso in Inghilterra e lì si mette anche a vendere bond per i sudisti.
L’esito della guerra non inficiò le loro prospettive, né la loro reputazione al punto che, quando Washington ha ormai rinsaldato la presa sugli stati meridionali, la Lehman diventa l’agenzia di riscossione per tutto lo stato dell’Alabama. Il Sud è annesso ma non pacificato: spuntano organizzazioni come il Ku Klux Klan, che non vedono di buon occhio «gli stranieri, i ricchi uomini d’affari o gli ebrei», Mayer rientra in tutte e tre le categorie e fa fagotto per New York.
È negli anni successivi che Lehman diventa una banca. Schumpeter ha scritto che il banchiere è l’eforo, il guardiano dell’economia di scambio: questo perché tutela fondi e risparmi, aprendone i rubinetti a vantaggio delle attività rischiose, ma non di tutte. La virtù del banchiere è la prudenza: lo era, per meglio dire, prima dei nostri tempi, quando regolatori onnipotenti possono, per l’appunto, tutto, incluso salvare i meno avveduti degli investitori. Circostanza inimmaginabile per J.P. Morgan, che nel 1907 convinse i colleghi a iniettare liquidità sufficiente a fermare il contagio finanziario.
Ma la prudenza non è necessariamente nemica del coraggio. Bobbie Lehman (nipote di Emanuel) capisce la potenzialità dei voli e investe sin da principio nelle imprese di Juan Trippe, il fondatore della Pan Am. E comprende pure la potenza del cinema, finanziando David O. Selznick, il produttore di King Kong e di Via col vento. Pagina dopo pagina, deal dopo deal, il lettore resta sbalordito dall’apparente facilità con cui nell’America di inizio Novecento si concludevano affari e si fondavano imprese destinate a lasciare un’impronta nella storia. Se escludiamo che gli esseri umani fossero fatti in modo proprio diverso, non si può che concludere che era un mondo tanto più povero del nostro, e proprio per questo desiderava non esserlo più. —