Tuttolibri, 4 aprile 2020
Cartoline dal Grand Tour dei Mozart
Mozart visse 35 anni, dieci mesi e nove giorni. In Italia ne passò in tutto 720, in tre viaggi: 461 giorni durò il primo, dal 13 dicembre 1769 al 28 marzo 1771, 121 il secondo, dal 13 agosto al 15 dicembre 1771, 138 il terzo, dal 24 ottobre 1772 al 13 marzo 1773. In totale: tremila e 300 chilometri su e giù per la Penisola, da Torino a Napoli, duecento i cambi di cavalli alla posta, il «da casello a casello» dell’epoca.
I numeri li dà Sandro Cappelletto nel suo Mozart. Scene dai viaggi in Italia, e basterebbero da soli a dimostrare l’acribia con la quale uno dei nostri mozartologi più accreditati segue Amadé e papà Leopold nelle loro peregrinazioni italiane alla ricerca di denaro e onori, con il padre che cerca sempre più affannosamente di capitalizzare la giovane età del figlio, prima che sparisca l’enfant e resti solo il prodige.
Ma questo libro denso e documentatissimo è, in realtà, due saggi in uno. Il primo racconta il bildungsroman del giovin compositore (quando parte per la prima volta per le amate sponde, Mozart figlio ha tredici anni), alla conquista di quello che era ancora, nell’opinione comune degli europei anche se forse non più nella realtà, il Paese della musica.
In realtà, Amadé rimane un po’ in ombra, schiacciato dalla presenza incombente e ingombrante di un padre padrone che cerca in quella del figlio la rivalsa a una carriera mediocre. Il ragazzo genio si limita a fare quel che gli viene chiesto: sbalordire. Tanto che gli vengono accreditate anche prodezze che non lo sono, tipo la stesura dopo un solo ascolto del Miserere di Allegri, il tesoro nascosto della Cappella Sistina, e bene fa Cappelletto a chiarire una volta per tutte una vicenda che ha fatto la delizia sbagliata di legioni di biografi. Mozart suona, compone, improvvisa, si fa esaminare da padre Martini, riceve decorazioni e commissioni, riesce a iniziare una carriera di operista italiano che poi non quaglierà. Ma è ancora il figlio non si sa quanto devoto del caro Leopold. La sua vera personalità emerge soltanto a sprazzi, che però illuminano già l’adulto che diventerà: professionista sicurissimo del suo valore e nei giudizi su quello altrui, uomo completamente disorganizzato e incerto nelle scelte di vita. Infatti le sbaglierà quasi tutte.
Ma, come si diceva, questo saggio è anche altro: uno straordinario reportage sull’Italia dell’epoca, o forse sull’Italia tout court. Cappelletto segue i due Mozart, in pratica, giorno per giorno, ma in questo modo racconta il Paese che attraversano, magari senza capirci molto. Le minuzie sono una vera delizia, le descrizioni degli abiti che si fanno fare (Wolfie, benché minutino e palliduccio, è il classico adolescente cui dall’oggi al domani non va più bene una sola camicia), delle camere con o senza camino dove padre e figlio dormono nello stesso letto, la cucina, le visite, le messe, le carrozze, i monaci agostiniani sempre pronti a dare una mano e a ospitare nei loro conventi, grazie alle raccomandazioni dei confratelli di Salisburgo.
I potenti sono di una facilità d’accesso per noi sbalorditiva, ma poi si rivelano gretti: come quando Maria Teresa scrive al figlio Ferdinando governatore della Lombardia, che vorrebbe assumere WAM, di non farlo, è gente inutile, sono dei musicanti che vagabondano per l’Europa comme des gueux, come dei pezzenti.
Cappelletto descrive dove i Mozart vanno, chi vedono, chi frequentano, gli usi e i costumi, la società e la cultura di un’Italia tutto sommato abbastanza deludente come quella del secondo Settecento, bella addormentata mentre tutto intorno l’Europa cambia (il risveglio, dal 1796 in avanti, sarà brutale ma benefico). Alcuni paragoni all’oggi sono folgoranti, rivelatorii: le «putte» vivaldiane dell’Ospedale della Pietà, un’idea geniale del welfare della Serenissima, sono l’equivalente ancien régime di El Sistema, il meccanismo di educazione musicale diffusa di Abreu nel Venezuela socialista. È un mondo di castrati e cicisbei, nobili arroganti, borghesi illuminati, illuministi disillusi, Accademie ripiegate su loro stesse, corti incipriate, forse di polvere. Il popolo non si vede quasi, sta sullo sfondo.
L’Italia si ritrova nei suoi teatri, luogo ottimo massimo non solo dell’evasione, ma della vita sociale. Da qui l’enorme importanza della musica in generale e dell’opera in particolare, colonna sonora di un Paese che vive al ritmo delle stagioni teatrali. Anche qui alla ricerca di una cesura, di una rottura rispetto a modelli nobili e alti ma ormai meccanici, inceppati nella loro stessa ripetitività.
In fin dei conti, l’aveva capito il vecchio Hasse (operista italianissimo nonostante la nazionalità), quando incrociò il giovane Mozart a Milano, lui per Il Ruggiero ovvero L’eroica gratitudine, l’altro per la serenata di Parini Ascanio in Alba: «Questo ragazzo ci farà dimenticare tutti».