Tuttolibri, 4 aprile 2020
Su “I baffi” di Emmanuel Carrère
«Alcuni accesero la loro luce individuale per leggere, era notte, in pieno cielo, lui era sveglio, e anche questo era reale». Quando leggo questa frase sono a tre quarti di I baffi (traduzione di Maurizia Balmelli), uno dei primi romanzi di Emmanuel Carrère – conosciuto in tutto il mondo per capolavori come L’avvesario e Limonov –, pubblicato per la prima volta nel 1986. Sto leggendo in una casa irreale, immersa nel silenzio irreale di un mondo irreale, tutto da ricostruire e ripensare, e di cui capire le nuove regole. Un nuovo mondo che parla soltanto di un virus, che pensa in coro soltanto al virus, che cerca un modo di affrontare il virus. Il mondo e, sia chiaro, col mondo anche io. Alzo la testa dal romanzo. Per qualche ora avevo scordato – o meglio, avevo cercato di mettere da parte – di essere in un mondo irreale. Ero entrata in I baffi e mi ero accucciata lì. Poi ho letto questa frase. E ho capito che quello che ho letto era ciò a cui stavo pensando da quando questo periodo folle della nostra storia è iniziato: ciò che sta accadendo è reale? È possibile che stia accadendo davvero?
Carrère mi ha risposto dal passato, da trentaquattro anni fa. I baffi racconta di un uomo che pirandellianamente, kafkianamente, si rade per la prima volta i baffi. Si mostra glabro a sua moglie Agnès, che non l’ha mai visto così. Si aspetta una reazione. Ma la moglie lo guarda e dice: tu non hai mai avuto i baffi. È reale ciò che dice Agnès, o ciò di cui il protagonista è convinto? Si mettono a guardare delle foto del passato. Ecco, dice lui, qui avevo i baffi. No, dice lei, i baffi non ce li hai neanche qui. Quanto tempo ci vuole, cosa deve accadere, perché da un dettaglio del genere – inquietante, straniante, ma non distruttivo – si arrivi al caos totale? Quanto tempo ci vuole, cosa deve accadere, per mettere in dubbio tutto, come sta succedendo a noi adesso? Quanto tempo ci vuole, cosa deve accadere dalla storia dei baffi a convincerti di un complotto ordito da tua moglie contro di te, e poi dell’opposto, che il pazzo sei tu, e poi che invece è il mondo a essere esploso, e dunque che la vittima non sei tu né tua moglie, ma Parigi, o la Francia, e poi decidere di lasciare tutto e trasferirti dall’altra parte della terra pensando che così ti salverai, e poi capire che in realtà non puoi scappare da nessuna parte perché dall’imponderabile non si può scappare, si deve per forza fare un respiro, trovare il coraggio, e affrontarlo?
«Sapeva che, come al solito, la notte sarebbe stata difficile, che il suo cervello sarebbe stato preso d’assalto da propositi contraddittori, ostinati, inconciliabili, e che di volta in volta, del tutto certo di non cambiare idea, avrebbe deciso di riprendere il traghetto, correre all’aeroporto, buttarsi dalla finestra, e che la sfida consisteva nel non fare niente di tutto ciò, così da ritrovarsi in vita al mattino, con i baffi in crescita, dopo essersi limitato a fantasticare atti irrimediabili». Leggo e penso: signor Carrère, ma tu, da oltre trent’anni fa, stai parlando a noi, a me? E ancora: «Assurdo, certamente, pensava, ma cos’altro può sperare un uomo a cui è accaduto quello che è accaduto a me?».
I baffi è un piccolo capolavoro. Parte piano per poi far esplodere la vita di un uomo in mille pezzi, e far esplodere il lettore con lui. Inclassificabile – è una sorta di horror, ma è anche un romanzo surreale, e allo stesso tempo una storia profondamente reale -, veloce e guizzante come un pesce dalle lucidissime branchie argentate, I baffi è la storia di un uomo che vede le proprie certezze sgretolarsi sotto i colpi di un presente minaccioso. Non voglio svelare troppo. Voglio lasciarvi il gusto di leggere ogni frase di questo romanzo, pieno di pagine indimenticabili. Voglio lasciarvi il gusto di scoprire che, se in questo momento così strano ci sembra meglio leggere un romanzo «felice» che ci porti lontano dal mondo cupo che stiamo vivendo, la verità può essere tutt’altra. Leggendo I baffi mi sono sentita capita. Mi sono sentita raccontata. Mi sono sentita consolata. Può un libro strapparci all’imponderabile e darci conforto? Può. Certo che può. Potrà sempre. Il che, credo, in questo momento è l’unica certezza che abbiamo. Una certezza bellissima.