La Stampa, 4 aprile 2020
Carta e sasso
Giunto al venticinquesimo giorno di confino domiciliare per un totale stimato di 175/190 ore dedicate alla lettura di affari concernenti il coronavirus ho capito che: il tampone è meglio farlo a tappeto ma è anche meglio farlo solo ai sintomatici e che serve ma in realtà non serve perché oggi sei negativo ma domani chissà, che la mascherina protegge gli altri ma non noi però protegge noi ma non gli altri, che il virus ha una gittata di un metro oppure di un metro e ottanta, in base al vento, e che viaggia nell’aria ma di sicuro non viaggia nell’aria, a seconda da come lo guardi, che sopravvive sulle scarpe otto ore forse sedici forse ventiquattro ma sette o settanta sull’alluminio e tredici minuti o tredici notti sul cartone, che si può uscire a correre ma è vietato uscire a correre e nel dubbio ti possono sparare dalla finestra, ma solo con regolare porto d’armi, che i bambini possono uscire ma con un genitore e senza monopattino oppure col monopattino ma senza genitore, che il tracciamento con la app funziona benissimo in Corea ma non funziona affatto a Singapore, che la sanità lombarda vista da qui è la migliore del mondo ma vista da lì è la peggiore del mondo, che abbiamo già trovato fra i sette e i nove farmaci miracolosi ma si guarisce solo se li si assume in Giappone o alle Galapagos, che non c’è recidiva ma per molti c’è recidiva, che i guariti non sono guariti, che la nuova strada sono i test sierologici e tuttavia non sono affatto sicuri, che a Wuhan finalmente ne sono usciti ma ne sono anche rientrati e che del resto si vedrà nei prossimi giorni, dipende, se carta mangia sasso o forbice taglia carta.