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 2020  aprile 04 Sabato calendario

La scoperta della Venere di Milo, l’8 aprile 1820

La bellezza assoluta nell’imperfezione più enigmatica. Questa è la Venere di Milo, con la grazia di quelle sue braccia perdute che ancora oggi echeggiano il mistero di un gesto, di un’azione, di un ruolo avvolto nell’aura del mito. Non smette di sedurre, quest’opera millenaria che compie in questi giorni un anniversario speciale, il bicentenario dalla sua scoperta. Accadeva l’8 aprile del 1820. La storia rocambolesca è degna di un romanzo. Siamo sull’isola di Milo, nell’arcipelago delle Cicladi. Un contadino che lavora nel campo vicino ai ruderi dell’antico teatro. Dalla terra riaffiora casualmente una creatura bianca lattiginosa (senza braccia). La sorpresa e la rivelazione ai compaesani. Scatta la corsa ad aggiudicarsi quel gioiello. 
La notizia arriva subito alle orecchie dell’ambasciatore francese a Costantinopoli, il marchese de Rivière, che vuole farne dono al re di Francia Luigi XVIII. L’avvio di una lunga trattativa con la Grecia, in ballo anche gli isolani che l’avevano concessa ad un monaco armeno per farne dono a un principe greco. Potere politico ed economico hanno la meglio (si parla persino della minaccia di una nave da guerra pronta a dirigere i cannoni verso l’isola cicladica). Parigi diventerà la sua meta diretta. Non manca il retroscena: l’opera restò bloccata tre mesi al porto di Tolone in attesa che la burocrazia della casa reale autorizzasse la direzione del Louvre a liquidare le spese per l’imballaggio e il trasferimento in sicurezza. Dai 1500 franchi pagata sull’isola, il valore risulta lievitato a 100 mila franchi. Entrerà al museo di Parigi il primo marzo del 1821. 

ANNIVERSARIO SENZA PUBBLICO
Ed è qui che da due secoli sfoggia la fierezza di uno sguardo che intimidisce, l’erotismo quasi ipnotico di una nudità bilanciata dall’eleganza di un panneggio che le avvolge le gambe. Oltre due metri di marmo (non un blocco unico, le indagini diagnostiche hanno rivelato due porzioni congiunte all’altezza del panneggio). Un compleanno particolare, quello ai tempi del coronavirus. Festeggiato a porte chiuse, in quarantena. Quella che è un’opera icona dell’arte appare oggi preclusa al mondo. «La Venere di Milo rappresenta un frammento di bellezza assoluta, che supera il tempo. Lo dimostrano tutte le opere moderne che si sono ispirate a questa scultura, come la Venere con i cassetti di Dalì o quella Blu di Klein – osserva Costantino D’Orazio, storico dell’arte, scrittore e divulgatore televisivo – Il suo fascino deriva dal fatto che sia incompleta, un’immagine che gli artisti sentono di poter profanare con le proprie idee per creare un capolavoro sempre nuovo». 
Le ipotesi sulla datazione, sull’autore, sulla ricostruzione delle braccia e l’oggetto che tiene in mano, sull’interpretazione iconografica, sono state al centro di una vasta letteratura.

L’INTERPRETAZIONE
«Si tratta di un’opera la cui iconografia è ben conosciuta tramite altre sculture, per esempio l’esemplare migliore è la cosiddetta Afrodite di Capua del Museo archeologico di Napoli, copia di un originale greco del IV sec. a.C, anche se sembra che la Venere di Milo sia stata eseguita non come copia, ma liberamente da questo prototipo, da un artista ellenistico tra il II e il I secolo a.C.», spiega Marcello Barbanera professore di Archeologia e storia dell’arte greca e romana della Sapienza, nonché direttore del Museo dell’Arte Classica e presidente del Polo museale della Sapienza. 

IL RUOLO
Qual è stato il suo ruolo nella storia dell’arte? «Al di là del suo valore per la scultura greca, la Venere di Milo, al pari di molte opere d’arte famose, è diventata un’astrazione, un mito moderno, come la Gioconda ad esempio – commenta Barbanera – Il suo corpo è stato copiato, attraversato, brutalizzato, riprodotto in molteplici materiali dagli artisti come Magritte, Jim Dine, Arman, ed è quindi diventato un luogo di proiezione dei fantasmi della modernità». Quasi l’incarnazione, suo malgrado, di buono e cattivo gusto. Quasi il risvolto della medaglia. «È diventata uno strumento iconico di straordinaria efficacia», continua Barbanera che ci tiene a sottolineare come nell’ambito della storia dell’arte greca, «la Venere di Milo non gioca un ruolo minimamente paragonabile all’Afrodite di Cnido, una figura rivoluzionaria perché la prima donna ancorché dea ad essere stata riprodotta completamente nuda, opera di Prassitele nel 350 a.C.».

LA CONCORRENZA
Insomma, la concorrenza per la Venere di Milo è stata alta. Ma lei mantiene intatta la sua aura di icona. Da star. Ne sono convinti gli studiosi. «La Venere di Milo è divenuta l’incarnazione di un oggetto antico, facilmente adattabile all’idea che ognuno si fa di questa antichità e perciò ci aiuta a riflettere sul processo di trasformazione dei capolavori in icone intoccabili – aggiunge doverosamente Marcello Barbanera – Così ancora oggi essa rimane imperturbabile di fronte a tutti gli oltraggi artistici e non che nel corso del tempo hanno cercato di dissacrarla. Anzi proprio questi tentativi hanno contribuito a renderla più celebre e ad aumentare la sua aura». E lei, la Venere di Milo, si gode oggi la sua fama. Anche a porte chiuse.