ItaliaOggi, 3 aprile 2020
Periscopio
Se dovessi ricominciare tutto daccapo prenderei una laurea in chimica e una in economia perché lo sport oggi è mosso dai soldi e dal doping. Gianni Mura (Giorgio Lambri). Libertà.
Il governo se ne va senza avere riformato la magistratura. Non è stato in grado di europeizzarla, separando le carriere: da un lato, i pm; dall’altro, i giudici. Neanche ci riusciranno i governi prossimi venturi. Le toghe non vogliono, i politici titubano, la Costituzione si oppone e andrebbe cambiata. Non ci sono le condizioni, direbbero i politologi. Giancarlo Perna. LaVerità.
Le nomine pilotate non sono una novità. È che oggi i rapporti magistratura-politica sono sempre più stretti. E cresce la voglia di potere dei giudici. Uno dei settori più ambiti è l’anti-mafia. Qui, il palcoscenico è assicurato. Raffaele Della Valle, avvocato difensore di Enzo Tortora (Marisa Fumagalli). Corsera.
La piccola borghesia degli anni venti è molto ignorante, ma di un’ignoranza particolare, è «un gradino più su», come s’usa dire, di quel famoso gradino che si raggiunge posando un piede nelle scuole governative: legge poco, non sa distinguere un bel quadro da uno brutto, beve Strega, e ammira i mobili Ducrot, legge Luciano Zuccoli e ama gli affreschi di Sartorio, ha molti difetti, ma possiede un istinto infallibile. Un’idea le entra in testa, e lì si ferma, come il motivo di una canzone, forse con le note di una fanfara. Leo Longanesi, In piedi e seduti. 1919-1943. Longanesi, 1968.
Proprio come tanti decenni fa, anche oggi la presenza del combinato disposto partito dello Stato-delegittimazione di ogni identità diversa, ostacolando al massimo il funzionamento fisiologico del sistema politico parlamentare fondato sulle alternative elettorali, avvia un tale sistema al suo virtuale disfacimento sotto il segno del trasformismo. Ernesto Galli della Loggia, storico. Corsera.
Gli eroi sono gli infermieri con i volti scavati e i segni della mascherina. I medici che vivono in trincea. I volontari che continuano a prestare la loro opera, chi non può fermarsi perché deve garantire cibo e farmaci. Io ho semplicemente risposto a una chiamata: non me la sono sentita in un momento come questo di voltare la faccia da un’altra parte. Ecco perché ho rispolverato la vecchia valigetta da dottore. È marrone con tutti gli attrezzi del mestiere a cui ho aggiunto guanti e le protezioni del caso. Ho fatto il medico di base per quasi trent’anni, nel 2013 avevo lasciato la professione per dedicarmi solo ai miei libri. Ma adesso ritorno in prima linea per dare il mio contributo nella lotta al coronavirus. Andrea Vitali. (Barbara Gerosa). Corsera.
Roma è l’unica grande capitale al mondo in cui la prima fonte di proventi sono le camere affittate in nero, la seconda è la pizza al taglio, la terza droga e mignotte. Roma è una scena teatrale, magnifica e cadente. Quello che conta non è la città; è il potere. E il potere è fatto di relazioni. Aldo Cazzullo – Fabrizio Roncone, Peccati immortali. Mondadori, 2019.
Nella nuova Italia repubblicana e antifascista Flaiano visse per un quarto di secolo, e non gli piacque, così come non gli era piaciuta quella fascista della sua giovinezza. C’era il valore aggiunto della libertà, «concetto del tutto simbolico, ma simbolico fino a un certo punto», il bisogno «di potersi esprimere» senza «il terrore di sentirsi scoperti, seguiti e catalogati». Ma questa libertà coincideva con un’Italia fragile, un malato «troppo debole e troppo frivolo per avere sintomi seri». Stenio Solinas. Il Giornale.
Mi è stato sempre rimproverato un certo modo ellittico di esprimermi. Veloce nel pensiero e nelle associazioni mentali. Non so se sia più un difetto o un pregio. Sono sempre stato così, fin da bambino, quando per darmi un ordine o meglio una disciplina mentale imparavo a memoria gli orari ferroviari di tutta Europa. Tito Gotti, musicologo e direttore di orchestra (Antonio Gnoli). la Repubblica.
Il vero nome di Alexandra era Litka Liphard e vantava tutti i quarti di nobiltà necessari (nonché l’aspetto, dati i suoi grandi occhi azzurri, il naso perfetto e il fisico che un giornalista americano definì «da levriero»), per sposare, nel 1931, in prime nozze, Jerzy, un barone polacco del casato dei Romaszkan. Fu proprio con il primo marito, già ammalato di tubercolosi, che Litka abbandonò la Polonia, dove possedevano vaste proprietà terriere, nel 1940. La Gestapo dava loro la caccia e riuscirono a filarsela solo perché un amico scultore prestò loro (ovviamente senza speranza di rivederla) la sua macchina sportiva. Alexandra Orme, scrittrice polacca, autrice di Come sopravvivere all’occupazione sovietica, editore Oaks (Matteo Sacchi). Il Giornale.
Per me la famiglia rappresenta la pienezza della vita. La relazione padre-figlia, o padre-figlio, non sono mai incidentali nei miei romanzi, ma la fibra della vita di ognuno. André Aciman, scrittore americano di origine egiziana. Cercami, 2019.
Noi eravamo i figli dei giornalisti e abitavamo a Milano in un brutto palazzone di dieci piani stile anni cinquanta dove però c’erano due ascensori, striminziti, uno per i signori, l’altro per la servitù («È severamente vietato l’uso alla servitù e ai fornitori» era scritto su una targhetta che faceva bella mostra di sé sulla porta di quello padronale). Massimo Fini, Ragazzo. Marsilio, 2007.
Il mio portiere è un ex garibaldino che trascina una gamba ferita a Bezzecca e tiene il ritratto del generale di fronte a quello di Pio IX dicendo: «Quello è il generale di mia moglie e questo è il mio». Giuseppe Prezzolini, L’italiano inutile. Rusconi libri, 1994.
Sulla piazza vicina alla riva del mare, luogo di ritrovo degli abitanti tranquilli che sogliono sulla sera essere insieme a barattar parole al sereno per riposarsi dalle faccende del giorno, stavano, col fine medesimo, dispersi in varii gruppi, molti soldati spagnoli e italiani, alcuni passeggiando, altri fermi, o seduti, od appoggiati alle barche tirate a secco, delle quali era ingombra la spiaggia; e, com’è costume delle soldatesche d’ogni età e d’ogni nazione, il loro contegno era tale che pareva dire: il mondo è nostro. Massimo D’Azeglio, Ettore Fieramosca. Vallardi, 1963 (prima edizione 1833).
L’italiano è mammone perché così lo vuole la mamma, che lo lava, lo stira, lo serve, lo vezzeggia, rincitrullendolo. Gli dà ragione anche quando ha torto. Asseconda i suoi capricci e, se non ne fa abbastanza, glieli fa fare. Se lo tiene ben stretto e guai a chi glielo tocca, a chi cerca di portarglielo via. Roberto Gervaso, Gli italiani pecore anarchiche. Mondadori.