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 2020  aprile 03 Venerdì calendario

Biografia di Giorgio Moroder raccontata da lui stesso

Anni fa mi chiamò Umberto Eco, per chiedermi se mi interessava scrivere un nuovo inno italiano. Voleva cambiare anche il tricolore, e insieme abbiamo mandato una proposta con materiale e musica a Berlusconi. Sembrava gli fosse piaciuto, ma poi non l’abbiamo più sentito». Non aver potuto riscrivere l’inno italiano è l’unico rimpianto di Giorgio Moroder. Anche perché alla sua carriera, il musicista che il 26 aprile compirà 80 anni, non potrebbe chiedere altro: ha vinto tre Oscar, venduto milioni di copie, è entrato nella storia della musica creando la disco. E a fermarsi, ancora oggi, non ci pensa nemmeno.

Le canzoni scritte per questi tre film gli hanno fatto vincere altrettanti Oscar. Poi ci sono decine di album, altre colonne sonore memorabili (come quella di Scarface e American Gigolò), collaborazioni prestigiose, da Donna Summer a David Bowie fino a Freddie Mercury. E l’ingresso nel 2004 nella Dance Music Hall of Fame. Ma a lui non basta. L’anno scorso con The Celebration of the 80’s ha portato in tour i suoi sessant’anni di carriera. Sì perché Giorgio Moroder, il compositore nato a Ortisei nel 1940 e ora di base a Los Angeles, il prossimo 26 aprile compie 80 anni ed è tornato a fare musica come dj.
Raggiungiamo Moroder nella sua casa vicino a Sunset Boulevard: «Una volta arrivati, salite al 21esimo piano!», tuona con voce giovanile. Bussiamo. Ci viene ad aprire Francisca, la moglie, che ci porta direttamente da Giorgio sul balcone dell’appartamento. Elegante, gentile, in forma splendida, capelli bianchi, baffi a manubrio iconografici, e sorriso stampato su un volto segnato dallo sguardo di chi sa di averla combinata grossa nella vita. Lui e Francisca stanno insieme da trent’anni: «Ero a un pranzo al ristorante Le Dome di Los Angeles. L’ho vista e mi sono innamorato di lei immediatamente. Le ho chiesto di sedersi con me. Meno male che è stato un colpo di fulmine anche per lei, altrimenti sarebbe andata male: non sono mai stato bravo con le donne. Siamo sposati da trent’anni e abbiamo un figlio, Alessandro, artista. Forse buon sangue non mente visto che anch’io ho studiato pittura da ragazzo, poi sono passato alla musica».
Quando ha cominciato a suonare?
«A 15 anni, avevo capito che suonare la chitarra mi faceva avvicinare alle ragazze. La musica è un linguaggio universale, puoi strimpellare canzoni d’amore e dedicarle a chi ti piace senza farti scoprire. Amavo molto Paul Anka, Diana è stata la prima canzone che ho imparato».
Quando ha iniziato a fare sul serio?
«Ho iniziato nei caffè di Ortisei, e poi sono andato in Svizzera. Suonavo nei club con una piccola band, facevamo cover dei Beatles e rock’n’roll. A 26 anni ho deciso di partire per Berlino perché volevo comporre la mia musica e ho trovato lavoro come tecnico del suono».
Com’era la Berlino degli anni Sessanta?
«Era una città difficile, c’era il Muro ed era un problema muoversi liberamente. Gli ingegneri con cui lavoravo non apprezzavano la mia visione del futuro e mi proibivano di sperimentare. Mi annoiavo moltissimo e quindi nel tempo libero ho iniziato a comporre. Ho scritto il mio primo singolo, Ich sprenge alle Ketten , per Ricky Shayne, un ragazzo libanese di origini italiane famoso anche come attore. Con quel singolo ho venduto 100 mila copie, una cifra abbastanza importante per quegli anni. Poi nel ’69 è arrivato Looky Looky , il mio primo vero successo, un pezzo che mi piace ancora adesso, anche se io come cantante non mi sono mai piaciuto. Con quella canzone sono anche andato al Cantagiro del 1970. Poi mi sono trasferito a Monaco dove ho fondato il mio primo studio di registrazione, i MusicLand Studios».
Dove ha lavorato con musicisti leggendari...
«Si, ho prodotto i grandi artisti come David Bowie, Rolling Stones, Queen, Freddie Mercury, Elton John. In quel periodo molti musicisti abbandonavano l’Inghilterra per questioni di tasse, molti andavano in Francia, altri venivano in Germania. Grazie al compositore classico Eberhard Schoener, ho scoperto il sintetizzatore Moog e me ne sono innamorato. Nello stesso periodo ho conosciuto Donna Summer: mi colpì per la sua voce così calda. Insieme abbiamo registrato I Feel Love . E, come si dice da noi, "the rest is history"».
C’è qualcosa della sua carriera che ricorda con affetto?
«David Bowie, conosciuto attraverso Brian Eno. Fu lui a etichettare le mie composizioni come "la musica del futuro". Lui era un professionista eccezionale. Mentre tutti i musicisti non si presentavano mai prima delle tre del pomeriggio, Bowie alle 11 del mattino era in studio e un’ora dopo avevamo finito. Insieme abbiamo lavorato sul pezzo Cat People (Putting Out Fire) per la colonna sonora di Il bacio della pantera del 1982 e grazie alla nostra intesa siamo riusciti a finire il pezzo in meno di due ore. Mi ricordo che il regista Paul Schrader era senza parole, non poteva credere che all’ora di pranzo, invece di fare un’altra prova avevamo deciso di andare a mangiare!».
La sua passione come dj invece come è nata?
«Ho iniziato per caso. Nel 2012 Louis Vuitton mi chiese di fare una piccola performance con un set di 15 minuti per un fashion show a Parigi. Dopo lo show Elton John voleva che lo aiutassi per il gala di amfAR — la fondazione di Elizabeth Taylor per la ricerca sull’Aids — durante il festival di Cannes. Mi piace girare il mondo e far ballare la gente. Mi diverte e mi impegna creativamente, al punto da suonare spessissimo da Giorgio’s, un club dedicato a me che si trova all’interno dello Standard Hotel di Hollywood. I dj di oggi sono come i direttori di orchestra, puoi comandare e controllare il ritmo di 30 mila persone. Non si tratta di ispirazione, bensì di traspirazione!».
Di recente ha anche composto una "colonna sonora" per i motori elettrici del futuro. Ha una passione per le auto?
«La velocità ha sempre ispirato la mia musica. Call me , il pezzo dei Blondie per la colonna sonora di American Gigolò , è nato proprio pensando a Richard Gere che guida sulla Pacific Coast Highway a Malibu, in California. Mi affascina il rapporto tra uomo e macchina. Le confido un segreto: la musica l’ascolto solo in auto, a casa non ho nemmeno lo stereo».