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 2020  aprile 03 Venerdì calendario

Felicità è leggere P.G. Wodehouse

«Dimmi! Riesci a immaginare qualcosa di peggio che passare un weekend con Bodfish?». Colto alla sprovvista, non ci riuscivo. «E riesci a immaginare qualcosa di più gradevole del non passare il weekend con Bodfish? Bene, è quel che sto facendo adesso». Se P.G. Wodehouse è uno degli scrittori più consigliati per la quarantena, uno dei pochi davvero letti, è anche per le surreali narrazioni consolatorie, adatte ai tempi. Nel racconto The Secret Pleasures of Reginald, Reginald viene trovato da un amico immobile e felice al club. Spiega di starsi godendo il fine settimana in cui non è andato da Bodfish, immagina tutto quello che non sta facendo. Racconta di avere una fitta agenda di eventi sociali e teatrali a cui non va, e perciò sta bene. Si può fare a casa propria, volendo.
La cura Blandings
In tanti lo fanno. Ne parlano sui media e i social network in inglese e non solo. Raccontano di come calmano l’ansia con la lettura terapeutica di Wodehouse (1881-1975). E il maestro della narrativa escapista, compagno infantile da pomeriggi noiosi per i più vecchi, figura di culto per anglofili e intellettuali molto seri, sta conquistando un nuovo ruolo. Le sue storie di un mondo inesistente, ricca Inghilterra edoardiana e un po’ di America, il suo essere uno dei più grandi prosatori in lingua inglese e uno dei più grandi autori comici in ogni lingua danno in queste settimane pace interiore; anche a chi non fa yoga, non medita, non si droga e non prega. I lettori più agitati trovano conforto nella saga del castello di Blandings (tra i libri migliori Qualcosa di fresco e Lampi d’estate ), i depressi si rallegrano con i romanzi di Bertie Wooster e Jeeves (fondamentali Avanti Jeeves!, Benissimo Jeeves, La gioia è col mattino e Jeeves non si smentisce ). Le alchimie wodehousiane funzionano quasi sempre, ma sono difficili da spiegare.
Disprezzare una mucca
«Hanno provato in molti a psicoanalizzare il suo mondo, a metterlo sotto il microscopio della critica letteraria. Ma è come... infilare una spada in un soufflé», ha scritto Stephen Fry, che è stato Jeeves in tv. «Il suo mondo di zie ipercritiche, maggiordomi severi, zii impazienti, ragazze sportive, giovanotti eleganti che tirano panini al ristorante ma arrossiscono in presenza dell’altro sesso – tutto questo può mostrarci un uomo bloccato in una prepubescenza permanente. Se non fosse per lo straordinario, magico, benedetto miracolo della prosa di Wodehouse, che dissipa il dubbio come il sole cancella l’ombra, una prosa che rende ogni critica, positiva o negativa, impotente e sciocca». Il potere taumaturgico del leggere di una zia che arriva di mattina presto a casa del nipote e gli ordina di «andare in Brompton Road a manifestare il tuo disprezzo per una mucca» va quindi accettato con un atto di fede (si tratta di un’antica lattiera a forma di mucca; Bertie deve far scendere il prezzo giudicandola «un lavoro olandese moderno»; è una delle citazioni con cui i wodehousiani si riconoscono tra loro).
E la beata irrilevanza degli eventi, la stoica meccanicità semivittoriana delle relazioni personali sembrano venire dal carattere e dalla vita dell’autore. Che sosteneva di aver passato buona parte della sua vita davanti a una macchina da scrivere (unico indizio di trasgressione, una lettera in cui parla dei «vecchi tempi eroici in cui prendevo lo scolo»), tra grandi guadagni, belle case e un lungo matrimonio amichevole. La sua biografia sarebbe noiosissima, se la sua coltivata inconsapevolezza non l’avesse fatto accusare di collaborazionismo col Terzo Reich.
I calzoncini neri
Nel 1940, Wodehouse non aveva lasciato la Francia e la sua villa di Le Touquet, forse perché gli inglesi avrebbero messo in quarantena i suoi pechinesi. Lo portarono via mentre stava dando un cocktail party; finì in un campo nell’Alta Slesia, dove andò d’accordo con tutti ed ebbe una macchina per scrivere. Rilasciato e sceso all’hotel Adlon di Berlino, si produsse in interviste e programmi radiofonici in cui raccontava «il lato leggero» della vita nei campi. Bandito dalla Bbc, arrestato e poi rilasciato dai francesi a fine guerra, si stabilì a Long Island e non tornò più in patria. La regina lo fece baronetto, un segnale di pace e perdono, poco prima della morte. Ai tempi, intervenne George Orwell. Nel suo In Defense of P.G.Wodehouse scriveva che «non è condannabile se non per stupidità» e britannico panglossismo, e poi si lanciava a elogiare i suoi romanzi, citando Cervantes e Stendhal.
Molti anni dopo, lo ha difeso Christopher Hitchens: «L’uomo che nel 1938 aveva inventato sir Roderick Spode non poteva cadere vittima di simpatie per il fascismo», ha scritto. Spode, ricco energumeno capo dei Calzoncini neri (ispirato a Oswald Mosley) compare per la prima volta in The Code of the Woosters ( Jeeves non si smentisce ), che lo scrittore Sam Jordison definisce «la guida wodehousiana per combattere i fascisti». Facendo presente, come fa Bertie con Spode, che sono mesti, assurdi, ridicoli. Che «il nostro problema non è solo la post-verità. È la post-ironia».
E in tempi di video con sindaci incazzati e di meme, divertirsi con Bertie Antifa può aprire nuove vie (Bertie stupisce, Jeeves agisce; per neutralizzare i sovranisti alla Spode bisogna sussurrargli «ricordatevi di Eulalie»; fa ridere, stavolta la spiegazione si trova su Google).