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 2020  aprile 03 Venerdì calendario

Le regole del lusso nel Medioevo

Elegantemente vestita con un abito ornato di fili d’oro, Giulia, donna dabbene, moglie di Roberto de Conti, si affaccia al balcone di casa. Un anonimo e solerte passante la vede e corre a denunciarla. Siamo nel 1561 e a Padova, come in tutte le città d’Italia ma anche d’Europa, abiti così preziosi sono proibiti dalle leggi suntuarie. Davanti ai Censori la famiglia si difende adducendo che l’abito, visionato a domicilio dagli ispettori, era indossato in casa e in casa propria ciascuno fa come vuole. Errore. I magistrati ribadiscono che l’abito, comunque «oltre i limiti», era stato indossato sì in uno spazio privato ma pubblicamente, e molte persone nella pubblica via avevano assistito all’esibizione.
Come finisce la storia di donna Giulia non figura tra i documenti ma il caso è un esempio dell’accanimento con cui il potere cittadino cerca i trasgressori, dando voce anche a delatori, e comminando multe sostanziose ad hoc. A Genova nel 1402 si inaugura una multa apposita per chi orna vesti e copricapo con le perle, gabella variabile a seconda del valore delle perle stesse e dell’età di chi le esibisce. A Milano, nel 1396 chi indossa un vestito con perle incappa in una multa che arriva fino a un quarto del suo valore. A Bologna, l’8 agosto del 1276 san Domenico festa della città, donna Francesca viene bloccata in una via del centro da un ufficiale che tenta di misurare la lunghezza della “cauda”, lo strascico della sua gonnella verde vietato dalle prescrizioni degli Statuti. Salvata dai passanti che immaginano un’aggressione, ed evitata la misurazione, donna Francesca non si salva però dalla denuncia, nonostante neghi di possedere un abito simile, una veste che tocca terra, reato punito con la perdita della dote e una multa salata. Un abito contra legem, come certi sostanziosi bordi di pelliccia, maniche eccessivamente larghe, tacchi vertiginosi, fibbie e bottoni in argento dorato troppo pesanti, vesti ricamate e tempestate di pietre preziose, cuffie intrecciate con fili preziosi e fiori, cappelli e berretti piumati, tessuti troppo preziosi che sbalordiscono gli sguardi, colori non adeguati al ceto sociale. Gli Statuti riguardano tutto: l’abbigliamento ma anche lo sfoggio di gioielli, le feste, i banchetti e i matrimoni. L’intenzione è regolare ogni forma di vita sociale attraverso l’esteriorità, mettere sotto la lente quel lusso la cui esibizione – soprattutto attraverso lo sfoggio femminile, vetrina delle ricchezza di famiglia – va calmierata e punita. Rigidamente, come racconta l’ultima ricerca fresca di stampa per Il Mulino Le regole del lusso, di Maria Giuseppina Muzzarelli, storica medievista all’Università di Bologna. Il saggio ricostruisce con meticolosità un tempo, che dal Medioevo approda all’età moderna, in cui il contenimento del lusso diventa sistema di governo funzionale a una società rigidamente gerarchica in cui ciascuno deve stare al proprio posto. Al di là delle implicazioni morali (contro ogni ostentazione si scatenano le ire dei predicatori) il contenimento del lusso diventa strumento di riconoscimento e di controllo sociale. Dominio politico a suon di leggi dai tratti maniacali sull’accesso ai beni e sugli stili di vita dei cittadini e della società tutta. Infine un sistema indiretto e veloce per rimpinguare le casse dell’erario e redistribuire le risorse.
Un lavoro, quello di Maria Giuseppina Muzzarelli, che intreccia le fonti più svariate: oltre alle legislazioni suntuarie, i registri delle denunce anonime o sottoscritte, sollecitate, organizzate e remunerate, da cui si ricavano i nomi dei possessori degli abiti fuori legge, il numero dei capi denunciati e la loro foggia, i tessuti, i colori e i decori. Ugualmente fantastiche sono le informazioni ricavate dai registri delle bollature, una pratica di registrazione, con relativo bollo, che consentiva di usare abiti precedenti a nuove leggi più restrittive. Quasi «un catalogo di figurini», come spiega la storica, descritti così minuziosamente da consentire di cogliere gusti, capacità artigianali, fantasia dell’epoca. Capi costosi e specchio di ricchezze, privilegi e gerarchie, «rilevatori di distanze» come li definisce la storica. Un campionario di varietà, che va ben oltre quel che l’iconografia del tempo ci ha consegnato. Abiti esistiti e descritti in ogni particolare, comprese le tariffe dei sarti, creatori di modelli stravaganti e stupefacenti, chiamati a comunicare con verità la quantità di stoffa e la foggia della confezione. Lo stesso dovevano fare, nel loro campo ricamatori e calzolai. Tutti puniti duramente con multe pesanti e persino pene corporali pubbliche in caso di false dichiarazioni. Attraverso una miriade di documenti Maria Giuseppina Muzzarelli ci racconta di un Medioevo in cui attraverso il contenimento del lusso, si danno regole gerarchiche precise per rafforzare l’ordine e il potere, per limitare gli sprechi in vista di un bene comune e, non ultimo, gestire la sperequazione sociale. L’obiettivo è controllare, educare e punire per dominare ed evitare che le esibizioni del lusso, segno delle reali disparità, inneschino imitazioni, invidie sociali, violenze assai pericolose per i governanti. Ed è così, ci dice la storica, che l’apparenza si fa sostanza. Sebbene centrato su un tempo lontano e attorno a un sistema di governo dai provvedimenti che oggi ci sembrano ossessivi, invasivi e invadenti, lesivi della nostra privacy, la ricerca di Maria Giuseppina Muzzarelli inevitabilmente riporta il nostro sguardo alle categorie del pensiero contemporaneo, al tema della sostenibilità, dell’iper consumo sconsiderato, alle conseguenze sul futuro di stili di vita che contemplano esclusivamente l’io e non il noi. E sollecita domande stringenti oggi ancora al centro del dibattito collettivo: può il denaro, il semplice pagamento di una multa, assolvere dalle responsabilità sociali dei comportamenti illegali? È accettabile e lecito il controllo pervasivo della vita privata? Fino a che punto il potere può insinuarsi nel privato per acquisire dati apparentemente in vista del bene comune, in realtà per rafforzarsi? E ancora, che dire di una società fondata sulla limitazione dei consumi e del lusso, in cui tutti sono controllati e controllori? Niente di nuovo. Il passato, come si vede è sempre tra noi.