Il Messaggero, 3 aprile 2020
Intervista ad Alberta Ferretti
Alberta Ferretti non si ferma mai. Certo, ora è a casa come tutti, ma non smette di progettare, di sognare e di vivere la giornata di corsa, tra le call col suo team, la cura del giardino e la ginnastica: «Mi mantengo attiva per il fisico, ma anche per la testa». La stilista è una paladina della moda romantica, ma è anche una persona di polso. Pur quando le interviste, causa pandemia, corrono solo sul filo di un telefono la si può immaginare mentre arrotola parole e pensieri accompagnandoli con le mani, mai ferma e mai doma. È abituata così da sempre, da quando sua mamma aveva una sartoria a Cattolica e lei, bambina, si lasciava affascinare dalle stoffe. Lì ha imparato molto, così che, appena diciottenne, ha aperto il suo negozio per poi presentare pochi anni dopo la sua prima collezione a Milano. Insieme al fratello ha fondato nel 1980 la Aeffe, di cui è vicepresidente, che, oltre alla Alberta Ferretti, comprende Philosophy by Lorenzo Serafini e Pollini. Ora si divide tra precollezioni, capsule collection e la linea demi couture.
Dov’è e cosa fa?
«Sono a casa e lavoro da qui. Sono fortunata, perché è confortevole e luminosa. Il che mi dona anche la luce interiore per creare. Sono vicino all’azienda, ora ovviamente chiusa, tra Cattolica e San Giovanni. Ho un parco che confina con un terreno agricolo, i miei vicini sono gli scoiattoli e posso sentire la brezza del mare. E, poi, ho Alfonso».
Chi è?
«Il mio labrador. I primi giorni mi guardava stupito: non è abituato a vedermi così tanto in casa. Ora è felice».
Com’è il suo look casalingo?
«Il trucco lo evito, ma mi prendo cura della mia pelle con le creme. La mattina faccio colazione in camicia da notte, aggiungendo un maglione sulle spalle. E, poi, via di pantaloni e maglia. A volte è quella della mia collezione con la scritta It’s a Wonderful Day, per tirarmi su di morale. La sera, invece, mi metto davanti alla televisione con un kimono che ho acquistato anni fa a Shanghai».
Difficile lavorare da casa?
«Parecchio. La mia stanza preferita è un gazebo in vetro vicino alla sala. È inondato dal sole e penso alle nuove collezioni al tavolo che ho messo al centro, ma non è come quando si poteva stare insieme».
Cosa le manca?
«Tutto, direi. Sento spesso i miei collaboratori e in questo la tecnologia ci aiuta, ma prima ci si confrontava anche solo con uno sguardo. Non so quante volte scendevo nel reparto della modellistica, in azienda, osservavo come si sviluppavano le idee, leggevo sui volti la soddisfazione per un abito che prendeva forma e mi perdevo nel lavoro delle sarte, trovando insieme a loro soluzioni ai problemi. E, poi, mi mancano le donne: guardarle, cercarne di capire le esigenze e prevederle, interessarmi alla loro vita... Erano e sono sempre la mia fonte di ispirazione».
La sua primavera/estate è un inno alla libertà e alla spensieratezza. Come pensa vivremo la bella stagione?
«Non lo so. Però la creatività mi ha portato qui e sarà sempre la mia linfa. Voglio ancora credere nel sogno e spero possa essercene un po’ per tutti».
Settembre e la presentazione delle collezioni per il 2021 non sono lontane. Cosa cambierà nella moda?
«Personalmente parto sempre da un’idea, ma, poi, questa si sviluppa anche pensando e creando tessuti. Prima che tutto chiudesse sono riuscita ad avere le prove delle stampe, ma, per esempio, ho immaginato molti jacquard, che sono ancora nella mia testa. Ho sentito pochi giorni fa il tessutaio, ma siamo tutti chiusi. Spero che qualcosa si possa sbloccare, naturalmente in sicurezza, ma che non si resti fermi troppo a lungo».
La moda è viaggi, servizi fotografici per il mondo, eventi e platee di passerelle gremite. Il futuro sarà diverso?
«Ci vorrà tempo per tornare a quei ritmi. Presenteremo la resort, a luglio, in videoconferenza. Però mi auguro davvero che a settembre si possa tornare alle sfilate. Niente può sostituirne l’emozione: lì non si fa vedere solo un abito, ma si racconta un mondo. Magari ci vorranno spazi più grandi».
Cambierà anche ciò che racconterete?
«La moda è sempre stata lo specchio dei tempi. Ci saranno collezioni più ridotte, focalizzate sull’essenza vera di un marchio. E, poi, si punterà sempre più su qualcosa di duraturo, che entri in un guardaroba per restarci. Forse, il surplus, il produrre senza criterio e senza qualità per inseguire un prezzo basso si è ritorto contro la moda e anche contro il mondo in generale. E ora ne paghiamo le conseguenze».
Cosa ha imparato da questi giorni?
«La solidarietà e il senso di appartenenza. Ma sono anche diventata una provetta giardiniera, ormai».
Non ha mai momenti tristi?
«Certo, e ho anche paura. Ma cerco di spronarmi e farmi forza. Parlarne mi fa bene».
Cosa farà quando potrà uscire?
«Nessun dubbio! Dieci minuti a piedi e sono in spiaggia. Lunghissime, chilometriche passeggiate sul lungomare».