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 2020  aprile 02 Giovedì calendario

Con gli sceicchi trema pure il Medio Oriente

Ci sono 80 superpetroliere cariche che vagano per gli oceani in cerca di un terminal, di un compratore, per il loro carico di milioni e milioni di barili di greggio. Non ci sono più clienti per l’ormai ex “oro nero”. Il prezzo precipita, ieri faticava a tenere i 22,61 dollari al barile, e con lui le economie del Golfo Persico. Tremano gli sceicchi perché sulla sfida tra Russia e Arabia Saudita per il prezzo del greggio si è innestato il blocco mondiale per il coronavirus. Dalla fine di gennaio sono stati cancellati 16.000 voli in Medio Oriente. L’Arabia Saudita ha perso 15,7 milioni di passeggeri e con loro 3,1 miliardi dollari, gli Emirati Arabi Uniti 2,8 miliardi.
Ogni Stato ha un suo modo per affrontare questo crollo. Gli Eau stanno aiutando le compagnie aeree con prestiti, rinviando il pagamento di tasse e debiti. In Paesi deboli come Egitto, Libano e Giordania è probabile che le compagnie chiudano. Questo sta mettendo in pericolo centinaia di migliaia di posti di lavoro: equipaggi, manutenzione, marketing, agenzie di viaggio, alberghi, guide turistiche e via discendendo. Ad Abu Dhabi la scorsa settimana hanno deciso di immettere 100 miliardi di dollari nell’economia, metà per aiutare le grandi aziende e metà per le piccole e medie imprese e i privati cittadini. Tutto per cercare di rianimare il settore immobiliare che già era in profonda crisi prima della pandemia. L’obiettivo è quello di mantenere in funzione l’economia il più possibile e impedire alla gente allarmata di correre a ritirare i propri depositi. La vita diventerà più dura per tutti gli abitanti del Golfo che hanno avuto finora vita facile, senza tasse, lavori garantiti, servizi gonfiati e infrastrutture superbe. Il più notevole piano per diversificare l’economia dal petrolio è il “Vision 2030” dell’Arabia Saudita che si sta rivelando però un mezzo fallimento. Non tremano solo i polsi ai membri del club degli arabi super ricchi – i Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Arabia Saudita, Kuwait, Eau, Qatar, Bahrain e Oman) – ma quelli di tutto il Medio Oriente. Donald Trump contava su 50 miliardi di aiuti per il suo piano in Israele e Palestina, 23 miliardi di dollari del Golfo hanno impedito il collasso dell’economia egiziana dopo il colpo di Stato di Al Sisi nel 2013. Libano e Giordania speravano di ottenere aiuti per evitare il default. Ma come ha rivelato il Fmi, il gigantesco bancomat del mondo arabo che era il Golfo sta finendo i soldi. Gli enormi depositi di petrolio a terra sono stracolmi di greggio che al momento nessuno compra. Lo scorso 10 marzo la Saudi Aramco – compagnia di idrocarburi dell’Arabia Saudita – si è impegnata a portare a 12,3 milioni di barili di petrolio la produzione giornaliera. Lo stesso giorno la Russia ha annunciato che avrebbe incrementato la produzione di mezzo milione di barili al giorno. E il prezzo è precipitato subito del 30%. Il blocco progressivo per la pandemia del coronavirus ha frantumato ulteriormente il prezzo che secondo molti analisti potrebbe scendere anche a meno di 20 dollari al barile. Questo è uno sviluppo positivo per i grandi consumatori di energia come la Turchia e per i piccoli Paesi “poveri” come Giordania, Libano, Siria, Marocco che godono ora di prezzi bassi. Ma per il club degli sceicchi è una grave minaccia perché gli Stati del Golfo ottengono 80 centesimi per ogni dollaro di Pil dagli idrocarburi, mentre dal resto delle loro economie solo 10 cent. Per sostenere i piani economici di emergenza e impedire che i bilanci scendano verso deficit pericolosi, gli Stati del Golfo non possono permettersi che il prezzo vada al di sotto dei 40-50 dollari al barile.
Si prevede che i membri dell’Opec ridurranno la quota di 1,5 milioni di barili al giorno per far crescere il prezzo ma forse è troppo tardi. Alla fine gli Stati del Golfo potrebbero trovarsi costretti a svendere asset all’estero per finanziare la propria sopravvivenza. L’impatto di un Golfo più povero poi si estenderà al Medio Oriente. Sono i petrodollari a svolgere un ruolo contro le ambizioni regionali dell’Iran e tenere in piedi le economie di molti Paesi. Gli sceicchi offrono lavoro a 25 milioni di egiziani, libanesi e palestinesi.