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 2020  aprile 02 Giovedì calendario

Caro fratello scimpanzé

«Dal surriscaldamento all’inquinamento degli oceani fino all’epidemia di coronavirus, i problemi che funestano il pianeta, sono tutti riconducibili al sentimento di superiorità dell’uomo nei confronti delle altre specie», dice l’etologo e primatologo Frans de Waal che nel suo libro L’ultimo abbraccio (Raffaello Cortina) esplora l’universo ancora poco conosciuto dell’affascinante vita emotiva animale. «Dipendiamo tutti molto intimamente dalla natura, ma l’essere umano, anche grazie alle religioni occidentali e alla filosofia, si è sempre considerato diverso, fino al punto di infischiarsene del resto del creato, che continua a distruggere, saccheggiare e corrompere. Soltanto adesso ci stiamo accorgendo di dover modificare il nostro comportamento, nella speranza che non sia troppo tardi», dice de Waal, diventato celebre negli anni Ottanta per i suoi lavori sull’esuberante sessualità degli scimpanzé pigmei.

Lei dimostra che non siamo l’unica specie capace di esprimere amore, odio, paura, empatia o disgusto. Non teme di venir accusato di antropomorfismo?
«L’antropomorfismo non è più un problema. Lo sarebbe soltanto se parlassi di polipi o di pesci, ma non mi spaventa quando ragiono sui primati. Infatti, se in alcune circostanze uno scimpanzé si comporta esattamente come noi, è lecito dedurne che la sua psiche sia molto simile alla nostra. A parte le sue dimensioni, il cervello di uno scimpanzé è identico al nostro, così come lo sono le sue sinapsi e i suoi neurotrasmettitori. Sarebbe curioso se non provasse le nostre stesse emozioni. Nell’etologia, c’è invece una scuola di pensiero che postula che il comportamento dei primati è comunque diverso dal nostro. Si tratta di quello che definisco l’“antropodiniego”, che consiste nel negare le similitudini tra noi e le altre specie, ma anche ciò che ci unisce e quindi il concetto stesso di evoluzione all’interno del regno animale».
Perché gli scienziati sono scettici riguardo alle emozioni delle altre specie?
«Il mio libro comincia con la morte di Mama, una scimpanzé legata da una antica amicizia al biologo Jan van Hoof. In punto di morte, van Hoof si congeda da lei con un ultimo abbraccio, a cui Mama ha risposto con un sorriso.
Questa e altre vicende formano il nucleo della mia tesi sulle numerose connessioni esistenti tra la nostra e le altre specie. La scienza ha sempre confuso sentimenti ed emozioni. Ma se i sentimenti appartengono a una sfera più intima e privata, le emozioni si esprimono con il corpo. E si possono quindi osservare e misurare, sia negli uomini sia negli animali».
Lei afferma che il senso del perdono, della bontà, della giustizia e dell’equità erano già condivisi da molte specie sociali ben prima che l’uomo apparisse sulla Terra. Qual è allora la nostra specificità?
«Il linguaggio, sebbene anche dei primati ne conoscano alcuni elementi. Ma noi siamo la sola specie in grado di usare un sistema simbolico di comunicazione. Gli scimpanzé hanno memoria del passato e sanno prevedere quello che faranno in futuro, ma non sanno raccontare né che cosa gli è successo ieri, né ciò che faranno domani. Senza dover ricorrere alla nostra capacità di tramandare il sapere o a quella di comporre un poema, il nostro grande vantaggio rispetto alle altre specie è quello di poter comunicare cose e avvenimenti che non sono presenti».
Definirebbe uno scimpanzé come un essere morale?
«No, perché non possiede una morale complessa e normativa come la nostra, con una narrazione che spesso incolliamo alle nostre decisioni e con il consenso che riusciamo a creare all’interno di un gruppo o di una società. Dovremmo rileggere David Hume, secondo il quale la nostra morale è basata sulle emozioni. Ed è anche quello che credono i moderni neurobiologi.
La maggior parte dei nostri atti è decisa su base intuitiva, mentre il raziocinio serve solo a giustificare le nostre scelte».
Nei grandi allevamenti di polli americani, i volatili hanno perso lo statuto di animali. Sono solo merce. È un’altra aberrazione del nostro comportamento nei confronti degli altri esseri senzienti?
«Non sono né vegetariano né vegano e non mi dispiace l’idea di nutrirmi di altri animali. Il problema è che negli allevamenti industriali, i polli, i vitelli o i maiali sono troppo spesso maltrattati o, peggio, torturati. “Per gli animali tutti gli uomini sono nazisti”, disse il premio Nobel per la letteratura, Isaac Bashevis Singer. E aveva ragione. Il nostro comportamento è profondamente immorale.
Dovremmo anzitutto dimezzare il nostro consumo di carne, e migliorare le condizioni degli allevamenti. Partendo dal presupposto che gli animali non provano emozioni, l’uomo è convinto di poterne fare ciò che vuole. In questo libro ho invece cercato di dimostrare che l’universo cognitivo ed emotivo degli animali è molto più complesso di quello che si pensava una volta. E che quindi vanno trattati con molta più “umanità”».