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 2020  aprile 02 Giovedì calendario

Ricordi di Alberto Cova

«Pensare a Tokyo, oggi mi provoca dolcezza e malinconia: è stata la città della mia prima grande vittoria internazionale nel 1980, e ancora nel 2019, ci sono tornato per correre la maratona! Spero che tutto vada per il meglio e che i Giochi del 2021 si svolgano in un clima sano e sereno. Noi ora siamo impegnati in una corsa più importante da vincere, a tutti i costi e tutti insieme».
Ricordi, attualità e futuro si intrecciano nelle parole di Alberto Cova. E non potrebbe essere altrimenti perché “il ragioniere” (così soprannominato per i sui studi scolastici ma anche la grande sagacia tattica in gara) di Inverigo, classe 1958, dominatore del mezzofondo mondiale tra il 1982 e il 1985 (oro europeo, mondiale e olimpico sui 10mila, oltre alla doppietta su 5mila e 10mila nella prestigiosa Coppa Europa), non è uomo ancorato al suo mito. Tagliati i suoi celebri baffetti, attraversato rapidamente negli anni Novanta il mondo della politica nostrana (è stato deputato nelle fila di Forza Italia), Cova ha fatto della sua leggenda, in parte, anche la sua professione, impegnato com’è oggi nel ruolo di formatore professionale per aziende. «Gestire le emozioni, individuare un obiettivo, definire la strategia e la preparazione per raggiungerlo, saper ripartire dopo una sconfitta, riuscire a valorizzare il lavoro di ogni membro di un team: in fondo, tra il percorso che porta a un oro e quello che arriva a una buona performance aziendale, ci sono davvero tanti punti in comune». Determinazione dell’atleta che faveva urlare l’Italia. «Covaaa, Covaaaa, Covaaaa!!» il grido appassionato del telecronista della Rai Paolo Rosi che al microfono descrisse l’incredibile volata con cui il brianzolo regalò a se stesso e all’Italia l’oro iridato ai mondiali di Helsinki 1983. E dire che quella storia che porterà Cova fin sul più alto gradino del podio olimpico, appena l’anno dopo a Los Angeles, era iniziata nel peggiore dei modi: con una scarpa rimasta imprigionata nel fango, in chissà quale prato proprio della sua amata Brianza, alla prima gara di un Cova poco più che bambino! Imprevisto che non gli impedì però di chiudere quella campestre al secondo posto, sporco di fango e bagnato di pioggia, ma fiero per aver scoperto quella feroce determinazione che sarà poi una delle chiavi della sua carriera. Passo dopo passo, metro dopo metro, chilometro dopo chilometro, attraverso la sua biografia Cova ripercorre un’epoca non solo dell’atletica leggera, ma dello sport italiano e mondiale: sono quelli gli anni in cui Primo Nebiolo (prima presidente della federazione italiana, poi di quella internazionale) inventa l’atletica come show-business, cavalcando l’esplosione di una stella infinita che risponde al nome di Carl Lewis, il “Figlio del Vento” che farà rivive vere (superandolo, anzi…) il mito di Jesse Owens. Ma anche, quella, la stagione dei grandi boicottaggi, che privano i Giochi di Mosca 1980 (per i quali un giovanissimo Cova, con rimpianto, non viene convocato…) degli Stati Uniti, e le Olimpiadi californiane dei campioni dell’Unione Sovietica. Ed è poi, quella a cavallo tra gli Anni Ottanta e Novanta, forse l’ultima stagione in cui gli atleti bianchi (oltre Cova, ecco Antibo, Bordin, Panetta, gli inglesi Coe, Ovett e Cram, i portoghesi Mamede e Lopes, giusto per ricordarne alcuni) riescono ancora a competere alla pari con gli assi emergenti da Kenya, Etiopia e Africa tutta, che da quel momento in avanti riscriveranno a proprio favore gli albi d’oro delle principali competizioni internazionali.
Non mancano, ovvio, in questo panorama, i grandi rivali di Cova: dal kenyano Henry Rono, le vittorie contro il quale danno al brianzolo la convinzione di essere sulla strada giusta verso l’oro Europeo di Atene 1982, alle sfide coi tedeschi dell’Est Kunze e Schildauer e quello dell’Ovest Wessinghage, ai feroci duelli nelle campestri proprio con Gelindo Bordin (oro olimpico nella maratona a Seul 1988, Olimpiade in cui Cova non riesce a qualificarsi per la finale dei 10.000 già angustiato dai problemi fisici che nel 1990 lo porteranno al ritiro), agli intensi allenamenti condivisi col gruppo della Pro Patria Milano e in particolare con Francesco Panetta. Fino ad arrivare su quella pista di Stoccarda, dove il 27 agosto 1986, Cova viene battuto in volata (proprio la sua specialità!) da Stefano Mei nei 10.000 che consegnano allo spezzino il titolo europeo, all’Italia una tripletta storica, su un podio tutto tricolore completato da Salvatore Antibo. Un podio ai piedi del quale rimangono le polemiche di cui i clan di Mei e Cova sono protagonisti in quelle stagioni, col primo che accusa il secondo di far ricorso all’autoemotrasfusione (pratica che sarà considerata dopante a partire dal 1985). Accuse che Cova respinge oggi con la stessa fermezza di allora.
Cronometro, gare, vittorie, sconfitte, ma anche le vicissitudini della vita privata, con i genitori come ancoraggio imprescindibile, e un altro punto di riferimento che il “ragioniere” ha mantenuto fermo, fisso, in tutti questi anni: Giorgio Rondelli, allenatore, amico, confidente. L’uomo che ha portato il talento di Cova fin sul tetto del mondo. Con la testa e con il cuore.