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 2020  aprile 02 Giovedì calendario

Biografia di Miralem Pjanić


Miralem Pjanić, nato a Tuzla, terza città della Bosnia-Erzegovina, il 2 aprile 1990 (30 anni). Calciatore. Centrocampista della Juventus. Stella della nazionale bosniaca • Ha giocato nel Metz (2007-08), nel Lione (2008-11) e nella Roma (2011-16) • «Ha un aspetto pulito e ordinato, un fare composto» (Federico Corona, Esquire, 27/10/2019) • «È il nostro principino, mi è sempre piaciuto per come gioca e per il rapporto che ho con lui. E per i giocatori forti ho un debole» (Francesco Totti) • «Il Piccolo Principe lo chiamavano. Piccolo perché era piccolo, ma non piccolo e tozzo, non un piccolo toro di quelli con le gambone e il collo largo, era piccolo come un ragazzino, anche con la faccia piccola e il naso piccolo e stava in mezzo al campo insieme a tutti quei giganti, ma la palla arrivava sempre a lui» (Valerio Coletta, l’Ultimo Uomo, 20/7/2016) • «La prima volta che Pjanic prese a calci un pallone lo fece in un garage: era mattina presto e il papà pensava ci fossero i ladri in casa. Oggi Miralem Pjanic è uno scassinatore professionista, ma di porte avversarie» (Francesco P. Giordano, Libero 22/10/2015) • Tre campionati italiani (2017, 2018, 2019), due coppe Italia (2017, 2018), una supercoppa Italia (2018) • Detto anche «Il Pianista» • «Mi chiamano così per il modo in cui gioco, è un soprannome che mi piace. Non segno tantissimo ma almeno spesso li faccio belli. Penso comunque che quel nome derivi dal modo in cui tocco la palla e la passo poi ai miei compagni» • «Per me il calciatore bello da vedere non è quello che ti ruba l’occhio con una finezza, un colpo di tacco, un tocco di suola, ma quello che con giocate apparentemente semplici fa girare tutta la squadra. Difficilmente mi vedrete fare una serpentina in mezzo a tre giocatori, non è quello che ricerco. Ciò che mi muove sul campo è l’idea di far giocare bene la squadra con gesti essenziali. Perché “giocare bene facile” è la cosa più difficile del calcio, ma anche la più bella» (Corona).
Titoli di testa «Difficile dire cosa avrei fatto senza calcio. Quando mi chiedevano cosa volevo fare da grande rispondevo sempre “il calciatore”. Una cosa complicata, ma per me era un sogno».
Vita «Lei in Bosnia non ha mai vissuto. “Emigrai quando avevo un anno. Tornai che ne avevo sei, a guerra finita, per conoscere nonno e zio: ho ancora negli occhi i carri armati sulla strada di casa”» (Emanuele Gamba, la Repubblica 14/10/2016) • «Papà, che militava nella serie B jugoslava, voleva portarci via dalla guerra e trovò un contratto con una squadra lussemburghese» (ibidem) • «Aveva degli amici lì. È stata la prima occasione per andarsene e l’ha colta» (Daniele Manusia, l’Ultimo Uomo, 15/10/2014) • «Aveva chiesto due volte i documenti per andare a giocare in Lussemburgo e avevano rifiutato di darglieli. Così la terza volta siamo andati con mia madre. Io ero in braccio a lei e quando mia madre ha iniziato a piangere, perché continuavano a rifiutarsi di darci i documenti, mi sono messo a piangere anche io. Abbiamo impietosito l’uomo davanti a noi che ci ha detto: “Va bene, lo faccio per il bimbo”» (ibidem) • In Lussemburgo, grazie al calcio, Fahrudin Pjanić riesce a rinnovare di volta in volta il permesso di soggiorno, ma le partite non gli bastano per mettere assieme il pranzo con la cena. «Le giornate le passava ad asfaltare le strade e quando la sera tornava casa usciva mamma, che andava a fare i turni in ospedale» (Gamba) • «La mia è una famiglia umile, senza idee strambe in testa» • «A scuola riuscivo sempre a fare il mio dovere senza essere né il primo né l’ultimo della classe. Sempre nel mezzo, ma ogni anno passavo» • «Difficilmente mi separavo dal pallone, lo tenevo sempre in braccio, tra i piedi, ero sempre fuori con gli amici. E mio padre mi dice che anche da piccolo c’era una grande differenza tra me e gli altri. Ma ci sono tanti giocatori bravi nel mondo. È la testa che a un certo punto cambia e ti permette di diventare un professionista. Oppure no» (Manusia) • È tifosissimo di Zinedine Zidane. «Da bambino sono diventato calciatore anche grazie a lui. Mi piaceva il suo stile, come toccava la palla. Era il giocatore più forte che avessi mai visto. Era elegante e mi piaceva osservarlo in azione. Se ho provato a emularlo? Certo, aveva il mio stesso ruolo: guardavo tutto il tempo le sue giocate e tentavo di ripeterle sul campo» (al sito della Roma) • «È stata una vita dura ma anche fortunata: ho potuto crescere con un pallone tra i piedi e ho incontrato un bravo allenatore, Guy Hellers, che ha cercato di dare un minimo di professionalità a un calcio totalmente amatoriale come quello lussemburghese. A 13 anni mi ha notato il Metz, appena oltre confine, e lì è cominciata la mia storia» (Gamba) • «Ero sicuro fosse la scelta giusta, ma andare via da casa non è stato facile. Però non ero troppo lontano, circa 50-60 km. La mia famiglia veniva a vedermi ogni fine settimana, poi tornavo a casa, facevo una notte fuori e rientravo il giorno dopo. Dove dormivamo noi vedevamo lo stadio della prima squadra» • «A 18 anni avevo appena fatto un anno in prima squadra al Metz, poi mi sono trasferito al Lione e Domenech mi chiese se volevo giocare con la Francia. Ma io a 13 anni sono partito in pullman dal Lussemburgo per vedere Bosnia-Danimarca, valida per la qualificazione all’Europeo. Perdemmo, ma l’atmosfera era fantastica: io volevo giocare in quello stadio e difendere i colori della Bosnia. Quindi ho detto no a Domenech perché volevo solo la Bosnia» • «Quando ci siamo qualificati ai Mondiali ho pianto per la felicità e l’orgoglio» • «Fin da piccolo ho sognato di essere un idolo, un esempio per il mio popolo, e portare la Bosnia a una grande competizione: il Mondiale brasiliano è stato il coronamento di tutto questo. Avessi scelto la Francia chissà quanti ne avrei giocati, magari ne avrei anche vinti, ma non capisco chi sceglie una nazionale per interesse. Quasi tutti noi della nazionale dalla Bosnia ce ne siamo andati da bambini, eppure siamo rimasti legatissimi alle nostre origini» (Gamba) • «A Roma come si è trovato? “A Roma ho passato cinque anni fantastici, è stata sicuramente la tappa più importante della mia carriera. Ho trovato una grandissima società, alla quale ero legatissimo. Stavo molto bene. Purtroppo andando avanti con gli anni vedevo che facevamo un bel calcio, stavamo sempre nelle prime posizioni, però alla fine era sempre molto difficile competere con una Juventus che era troppo avanti rispetto alle altre. La Juve già da un paio di anni mi voleva. Io avevo rifiutato perché non me la sentivo e volevo continuare con la Roma. Poi ho pensato che era arrivato il momento di rimettersi in gioco» (Walter Veltroni, Corriere dello Sport, 1/12/2017) • «Continuavano a ripetermi che avrebbero costruito una squadra da scudetto, ma purtroppo in cinque anni non abbiamo vinto niente» (Gamba) • «Metz, Lione, Roma, Juventus: se li mette in fila, cosa le viene in mente? “Un progresso continuo. Ogni cambio è stato un salto di qualità anche se la mia bacheca è ancora vuota: a Lione avevano vinto sette campionati di fila, ma con me solo secondi posti» (Gamba) • «Vista da dentro, la Juve è come sembra da fuori? “Da fuori sembrava molto tosta, sapevi che era quasi impossibile che perdesse. Qui ho capito perché: costi quel che costi, si vuole vincere, e nient’altro”» (Gamba).
Vita privata Ha un figlio, Edin, avuto nel 2013 dalla francese Josepha Guillot.
Curiosità «In ritiro più poker o playstation? “Poker. Ora ho iniziato a giocare a golf, ma è più difficile che tirare le punizioni» (Pinci) • Ha una Ferrari • «Lei è musulmano? “Sì, osservante ma moderato”» • «Con l’Islam ho un rapporto normale, come si deve avere con ogni religione, senza estremismi, anni luce da quei pazzi che uccidono sotto la bandiera di Maometto. Prego quando ne sento la necessità, ma non certo cinque volte al giorno. In moschea a Torino non sono mai andato» • «Quanto pesa lo sport nell’integrazione del suo paese? “Ci sono musulmani e ortodossi che stanno iniziando a convivere, a capirsi: e il calcio, il Mondiale, ha aiutato tanto. Ci sono serbi, croati, i bosgnacchi, ma quando gioca la Bosnia si uniscono e tifano tutti la nazionale”» (Pinci) • «“Ho amici serbi e croati. Sono fatto così. Conosco tante culture, tante lingue”. Tipo? “Il francese è la mia lingua madre insieme al lussemburghese, che è una specie di tedesco anche se i tedeschi non lo capiscono. L’inglese invece l’ho studiato a scuola. L’italiano credo di saperlo abbastanza bene. E il bosniaco lo parlo in famiglia”. In che lingue pensa? “In francese o in tedesco. Dipende. Se parlo italiano penso in francese, per esempio”» (Gamba) • Ogni tanto gioca assieme a suo padre.
Titoli di coda «Credo che alla fine tornerò in Lussemburgo. È un posto un po’ noioso, il clima è un po’ così, ma ci sono anche tanti vantaggi: il livello dell’istruzione è alto e, siccome il calcio interessa poco, io lì potrei vivere tranquillo» (Gamba).