Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  aprile 01 Mercoledì calendario

Le critiche a Montalbano

Prima o poi doveva succedere, che qualcuno stroncasse Montalbano. L’ultimo Montalbano (diretto da Luca Zingaretti), sia chiaro. Una stroncatura garbata, quasi affettuosa, ma intanto una crepa si è aperta nel monumento. Qualcosa però non torna. Domenica, sul Foglio è apparso un lungo articolo in cui si sostiene che «stavolta Montalbano… ha deluso perfino gli aficionados più accaniti, gli onnipresenti davanti alla tv per ogni debutto ma anche per ogni replica, le groupies zingarettiane…, i feticisti accalappiati dall’astuto grand tour sui luoghi siciliani del set: tutti hanno abbozzato mezze smorfie. Non proprio un’abiura, per carità, ma una disillusione amara, da mezza crisi di coscienza». E, più in dettaglio, Totò Rizzo nota che «stavolta è come se tutto si fosse slargato già a partire dalla scrittura, amplificato nella caratterizzazione, esasperato nei personaggi ma appiattito nelle loro psicologie, sottolineato negli stessi arredi».
Colpa di Zingaretti, «forse preoccupato dal riprendere e dal riprendersi», che ha diretto «un po’ in automatico». Critiche legittime, a parte la difficoltà statistica di rilevare la delusione delle groupies zingarettiane (Rizzo le conosce tutte?), visto che Auditel ha decretato l’ennesimo successo. Lunedì, Rai1 ha trasmesso L’altro capo del filo, un Montalbano diretto da Sironi del 2018 (visto che i tv movie sono 34, si va ad annate, come per i vini). Ebbene, le critiche che Rizzo rivolge all’ultimo Montalbano funzionano benissimo anche per precedenti episodi, nonostante le groupies zingarettiane non se ne siano accorte. Verrebbe da dire, ma non lo diciamo, che gli slargamenti della scrittura, le amplificazioni delle caratterizzazioni, l’appiattimento delle psicologie sono made in Camilleri. Non è che quelle iterazioni continue, il riconoscimento del già noto lusinghino molto il lettore e permettano all’autore di giocare sulla forza suadente della ripetizione?