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 2020  marzo 31 Martedì calendario

Periscopio

Ma la si smetta, almeno, di chiamarlo Lockdown Italia. «Isolamento» suonava troppo ansiogeno? Se proprio devo murarmi vivo, vorrei poterlo fare in italiano. Massimo Gramellini. Corsera.
All’età di 4 anni, il futuro professor Luigi Rainero Fassati, 84 a marzo, primo dei sei figli del marchese Giuseppe Ippolito Fassati di Balzola, appoggiò un orecchio sul ventre della madre, incinta della terzogenita Yula. «Sentii il battito cardiaco. E poi un terremoto: era la mia sorellina che si muoveva. Dissi alla mamma: voglio aprirti la pancia per vedere che cosa c’è dentro». L’ha visto. Come direttore del dipartimento di chirurgia e dei trapianti del Policlinico di Milano, dove ha lavorato per 45 anni, ha inciso con il bisturi l’addome di 692 pazienti per innestarvi un fegato nuovo. Il suo vero primato, tuttavia, è il messaggino che Corrado gli ha spedito da Santa Marinella. Luigi Rainero Fassati, chirurgo, 692 trapianti di fegato (Stefano Lorenzetto). Corsera.

A passeggio per Bonn, mi fermai davanti a un semaforo rosso. Visto, però, che la strada era deserta, decisi di ignorare il divieto. Sul marciapiede opposto, c’erano un nonno e il nipotino. «Il crucco – pensai mentre attraversavo – mi farà sicuro un predicozzo sul rispetto delle regole. Pace. Gli dirò che un semaforo rosso davanti a una strada vuota resta in ogni caso un paradosso». Quando, giunto dall’altra parte, sfiorai il vecchio, quello mi indicò il nipote e, togliendosi il cappello per rivolgermi la parola, disse addolorato: «Non doveva farlo davanti al bambino che ora non saprà più che senso dare a un semaforo». L’argomentazione era sacrosanta e ne fui mortificato. Giancarlo Perna. la Verità.

Amo il giornale e il giornalismo, la lettura, l’approfondimento, la carta. Molti giovani non sanno nemmeno tenere in mano un quotidiano, in treno lo regalano e loro lo rifiutano. Sono tutti presi dai telefonini. Guardano i telegiornali, a volte, e pensano di sapere senza approfondire. È una grave perdita. Giancarlo Aneri, produttore di vino e di cibo di qualità (Stefano Filippi). il Giornale.

Mina è stata anche il simbolo storico dell’Italia dopo il boom economico, l’Italia che figliava e cresceva in ogni senso, scopriva il mare e le vacanze, andava in Vespa e in Cinquecento, vedeva la tv e si perdeva nella radio. Di Mina vorrei dire tutto il bene possibile, e l’ho già fatto più volte. Troppe storie intime hanno avuto la sua colonna sonora; a volte si sono dimenticati perfino i fatti e i protagonisti ma non il suo sottofondo musicale. Una volta sola tanti anni fa insinuai una perfidia sul suo conto di cui mi pentii. In quel tempo, più di vent’anni fa, Mina scriveva una rubrica adorabile su un settimanale e io dubitai che fosse farina del suo sacco e lo scrissi su un altro settimanale che dirigevo. Lei mi indirizzò una deliziosa lettera in cui riuscì quasi a convincermi che era una scrittrice traviata dalla musica; forse perfino una filosofa, che aveva ripiegato sulla canzone. Marcello Veneziani. Panorama.

In Sud Tirolo (o Alto Adige, a seconda dei punti di vista) erano (quasi) tutti tedeschi. E dopo 40 anni, dell’Italia non ne volevano più sapere: il loro sogno era tornare sotto Vienna. La prima ondata di questi secessionisti da operetta faceva saltare i tralicci in modo tale che cadendo non danneggiassero i filari delle viti coltivate per il Gewürtztraminer. Erano ossessionati dall’ordine e dalla pulizia anche facendo i dinamitardi, figurarsi. Ma la «guerra da operetta» ben presto diventò una «guerra sporca»: il confine del Brennero (con i tank dell’Armata rossa a un tiro di sputo) era troppo importante per permettere a quattro valligiani ignoranti di metterlo in discussione. Maurizio Pilotti. Libertà.

Il mio nome, De Signoribus, me ne rendo conto, è un nome imponente. È un cognome fiorito nella zona di San Benedetto del Tronto. Una specie di stemma austero e aristocratico. Ma a esser sincero ho conosciuto solo una vita modesta. Mio padre era un artigiano, dopo le elementari andò a bottega e imparò il mestiere di barbiere. La sua storia di famiglia è uscita solo per cenni. Avrei amato conoscerla nei dettagli. Ho un fratello più giovane, una madre ancora in vita, una moglie e una figlia. Eugenio De Signoribus, poeta (Antonio Gnoli). la Repubblica.

Con Gloria Guida siamo insieme da 39 anni. Ovviamente il primo passo l’ha fatto lei. Recitavamo nella commedia musicale Accendiamo la lampada e fingevamo di darci un bacio. Il pubblico non vedeva e non era necessario appoggiare le labbra. Una sera, però, mi mollò un bacione vero e io cominciai a frequentare il suo camerino. Con una certa eleganza. Ma se ne accorsero tutti. Trentanove anni: abbiamo litigato tanto facendo sempre pace. Il segreto? Rigare dritto. L’ho sposata due volte, prima civilmente, poi in chiesa, ed è nata Guendalina. Johnny Dorelli, cantante (Pierluigi Vercesi). Corsera.

Alla fine della mia vita mi domando se vale la pena di soffrire per diventare un Pasternak. La mia risposta di lettore è sì. Ma è un po’ facile. Avrò la forza di creare sotto questa pressione? Mi ricordo che una volta Arthur Koestler mi disse: «Voi sapete perché i vostri libri sono così mediocri? Perché non siete mai stati in prigione». Nel ventesimo secolo, non essere mai stato in prigione significa non collocarsi fra i viventi. È questo per me un giudizio senza appello di cui mi ricordo spesso alle tre del mattino, nelle ore in cui si dicono le verità, come spiegava san Giovanni della Croce. George Steiner, scrittore (Sébastien Lapaque). Le Figaro.

Mia madre, Edvige, è morta nel giro di pochi mesi in giovane età. Io avevo 17 anni, ero il più «vecchio» di sei fratelli. Mio padre, Antonio, lavorava come impiegato comunale. Sulla gestione della famiglia lasciava fare. Quindi si è trovato in un grosso casino. Per fortuna sono intervenute tre zie. Andrea Vitali, romanziere (Luca Pavanel). il Giornale.

Due vecchie russe di Ukranska Bulova, racconta Mario Rigoni Stern, «saputo che ero italiano, mi indicarono col dito le galline. Beccavano il mangime in una delle nostre gavette. La presi, ci guardai dentro, mi sentii le gambe molli. Sul fondo c’era lo schizzo di un cuore con dentro una ragazza: era la gavetta del povero Marangoni». Gian Antonio Stella. Corsera.

Si avviarono a passi lenti verso il giardinetto frequentato da bimbi, drogati e barboni, tutta gente che una coppietta non la vede nemmeno. Guglielmo Zucconi, Una storia pulita. Fabbri editori.

Crisi di governo: il risveglio degli zombi. Il ritorno degli avvoltoi, delle puzzole, dei camaleonti. Roberto Gervaso. Il Giornale.