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 2020  marzo 31 Martedì calendario

Un libro a più voci su Shostakovich

«Come sta, Dmitrij Dmitrievic?». «Tutto bene, Iosif Vissarionovic. Solo qualche fastidio allo stomaco». «Mi dispiace. Le troveremo un dottore». «Grazie, non mi serve nulla, ho tutto il necessario». «Tanto meglio». 
Mosca, 16 marzo 1949. Stalin telefona a Shostakovich. Chi ha letto Vita e destino di Vasilij Grossman sa che cosa voleva dire ricevere, o non ricevere, una telefonata da Stalin: venire sommerso oppure salvato, almeno per un po’. Il Piccolo Padre vuole che il compositore vada a New York per partecipare al Congresso internazionale sulla Pace come membro della delegazione sovietica. In passato aveva dovuto fare autocritica, umiliarsi dopo che la sua musica era stata giudicata «formalista e anti-popolare», aveva dormito con la valigia pronta sotto il letto, così se fossero venuti di notte ad arrestarlo avrebbe avuto canottiera, calze e mutande pulite. Ma ora al regime, considerata la sua notorietà, serve che rappresenti il proprio Paese. Shostakovich è allibito e osserva che la sua musica è proibita in patria. Non lo sapevo - replica Stalin – ma provvedo subito. Il giorno stesso firma una «disposizione» con la quale abroga il precedente «ordine del Consiglio dei Ministri dell’Urss». Un nuovo libro - Dmitrij Šostakovič - Il grande compositore sovietico (Mudima, pp. 611, € 40; il titolo rispetta la grafia russa del cognome) porta ulteriori, e spesso inediti in italiano, elementi di conoscenza sulla vita di uno dei massimi artisti del Novecento. Scritto a più mani, appare un contributo fondamentale, più che il controverso Testimonianza di Solomon Volkov o il recente Il rumore del tempo di Julian Barnes, un romanzo ispirato dai fatti.
Perché, nel titolo, quell’aggettivo? Non si poteva scrivere «russo»? No, scrive Valerij Voskobolnikov, pianista, storico della musica, nato in Russia, da tempo cittadino italiano; Shostakovich «è vissuto e ha lavorato in un Paese (che si chiamava Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) dove regnava un certo modo di vivere nel quale tutti noi avevamo una doppia esistenza: una dotata di voce e l’altra nel silenzio. Quasi tutti i cittadini trovavano normale mentire giorno dopo giorno a sé stessi e ai vicini, nessuno credeva nell’esistenza di un modo diverso di vivere». Questa attitudine spiega la frase pronunciata dal compositore: «La mia musica non è mai come appare, si nasconde». Perché mai «l’artista del popolo, l’eminente compositore che ha affermato gli ideali dell’umanesimo socialista e dell’internazionalismo, il deputato al Soviet Supremo» Shostakovich si sarebbe dovuto nascondere? Perché in quello Stato ognuno, per sopravvivere, doveva scindersi, essere schizofrenico; non era patologia, ma la normalità. 
Il volume ricorda la passione del compositore per il calcio e il tennis, la sua ironia, indispensabile per sopravvivere, che raggiunge nell’opera Il naso, tratta da Gogol, un esito superbo. Non trascura l’episodio centrale della stroncatura, voluta da Stalin, dell’opera Lady Macbeth del distretto di Mzensk, ma propone una possibile lettura psicanalitica dell’episodio: Stalin rimane sopraffatto dalla carica erotica della protagonista, che uccide prima il terribile suocero, poi l’inutile marito per vivere una storia con l’amante che la tradirà, e ripensa alla tragedia delle sue due mogli: la prima morta molto giovane, la seconda suicida. Ivan Sollertinsky, che fu maestro di Shostakovich, contrappone la profondità della sua musica alla brillantezza esteriore e meccanica di Stravinskij. Evgenij Evtusenko ricorda la nascita della Sinfonia n. 13: detta Babij Jar, ispirata a una sua lirica, racconta il massacro nazista di 33.771 ebrei ucraini nel 1941 e rimprovera con coraggio alle autorità sovietiche la rimozione di quella tragedia. Shostakovich più volte si ispira a temi del folklore ebraico: «La musica degli ebrei può sembrare felice, spensierata, ma in verità è tragica. È quasi sempre un riso attraverso le lacrime. Ha un carattere che corrisponde molto bene alla mia concezione della musica. La musica deve sempre parlare a due livelli. Gli ebrei sono stati talmente perseguitati che hanno imparato a nascondere la loro disperazione». 
In «Sostakovič e il potere sovietico: storia delle relazioni», Levon Hakobian ricrea il clima epico che accompagnò la nascita della Settima Sinfonia, detta Leningrado ed eseguita in quella città il 9 agosto 1942, durante l’assedio nazista. Capace di «raccontare» l’invasione, la resistenza, e di annunciare nel finale la vittoria che certamente verrà, diffusa dagli altoparlanti mentre artiglieria e aviazione sovietiche bombardano le postazioni nemiche, quella musica dona alla città stremata la persuasione del possibile riscatto. 
Il libro - che ricorda la mediocrità delle reazioni a Shostakovich di illustri critici italiani accecati dagli schematismi dell’ideologia - è corredato da numerose immagini in bianco e nero: osservando i volti degli operai, contadini, soldati, insegnanti, e tra loro molte giovani donne, che all’inizio degli anni Venti partecipano ai primi Congressi dei Soviet e del Partito riemerge, assieme alla varietà etnica dei popoli raccolti nel territorio russo, la portata radicale di quel progetto rivoluzionario, e fallito. Il saggio di apertura è affidato a Daniele Lombardi, scomparso nel 2018, e a cui il libro è dedicato in memoriam. Pianista, compositore e artista visivo di forte individualità, Lombardi scrive: «In Occidente la presunta libertà di espressione è direttamente proporzionale alla sua commerciabilità; chi non si vende e non produce denaro è fuori gioco. Non si sa paradossalmente se preferire la spietata selezione compiuta in Russia: lo scopo almeno era creare un’arte e una cultura di massa con valori certamente più positivi». No. Meglio commercializzato che in un gulag.
Shostakovich scompare nel 1975, a 69 anni. Così scrive in una nota autobiografica, riportata nel volume: «Sono felice di poter servire – con la mia arte e con la mia attività sociale – il nostro grande popolo e la nostra amata patria». Era sincero o si nascondeva? Era un genio e un enigma, un artista sovietico.