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 2020  marzo 30 Lunedì calendario

Tremonti: «Il virus incidente della Storia»

«Questa pandemia è il tipico incidente della Storia. Un precedente, per capirci, è stata Sarajevo: un luogo remoto, un fatto inaspettato, improvviso e in sé drammatico ma non percepito subito come tale, ma poco dopo la Grande Guerra e la fine della Belle Époque e con questa la caduta della vecchia Europa. La Storia non si ripete per identità perfette, ma gli «incidenti sempre ricorrono». Si può dire che nel suo libro Le tre profezie, Giulio Tremonti aveva previsto tutto. O quasi. Il coronavirus, l’emergenza sanitaria e la crisi economica hanno messo a nudo l’intero sistema.
È finita l’era della globalizzazione? 
«La nuova Sarajevo: un luogo remoto, all’interno della Cina la scintilla malefica sprigionata dall’incontro tra due civiltà, una rurale con dentro usi e costumi millenari e una iper moderna. Se guardi Google Maps, la mappa luminosa del mondo, la costa appare illuminatissima, mentre l’interno è una sconfinata superficie senza luce, rurale ma con dentro almeno mezzo miliardo di persone. Dalla mappa capisci che il virus non è venuto fuori da un laboratorio scientifico ma certamente da un laboratorio sociale, dall’incrocio forzato tra passato e futuro. Da qui il virus segue la via della Seta, passa da un luogo simbolico, l’Iran, arriva in Europa e da qui in Occidente. Un tempo le pandemie, come la peste, camminavano lente, con i topi e le pulci. Questa, più moderna, ha avuto una diffusione istantanea. Come Sarajevo ha posto fine alla Belle Époque, così questa pone fine al dorato trentennio della globalizzazione e al prodotto illuminato di quella che è stata l’ultima ideologia del Novecento, il mercatismo: l’idea che il divino mercato è tutto e fa tutto. Come il vecchio mondo era liberté, égalité, fraternité, così il mondo successivo, un mondo che ora ci si svela effimero, è stato globalité, marché, monnaie. Usando un linguaggio da pandemia, nei Promessi sposi, don Ferrante si chiedeva ’La peste è sostanza o accidente? e diceva Non è sostanza, non è accidente. C’è qualcuno che considera la pandemia come una tragedia biblica. Credo che questo sia un errore. La confusione tra gli effetti e le cause, tra l’epifenomeno e il fenomeno. Come è già stato nella Storia, anche questa pandemia sarà battuta dalla scienza: la Storia dell’umanità è cambiata con la scoperta della penicillina. La tragedia non è tanto nella pandemia in sé e nei suoi effetti sanitari quanto nel fatto che svela i limiti della globalizzazione. Una volta usciti dal lockdown ne troviamo le macerie».
Sarà necessario riconfigurare l’equilibrio Stato-economia? 
«Nell’ideologia del mercatismo, il mercato era tutto e lo Stato niente. Il divino mercato era la macchina e la matrice progressiva e positiva di ogni bene. Per contro lo Stato era un fattore ostacolo. Questa ideologia era una distorsione rispetto alla tradizione liberale classica. Qualcosa di simile a quello che nell’altro campo è stato, nella sua assoluta radicalità, il bolscevismo sul socialismo. Il mondo liberale comincia nel Settecento e trova la sua bibbia in La ricchezza delle nazioni. Un titolo che indica come ricchezza e nazioni non possano esistere indipendentemente, il mercato ma anche lo Stato. Il mondo liberale occidentale era come un antico orologio meccanico fatto di pesi e contrappesi. L’orologio ha battuto il suo tempo per due secoli poi qualcosa ha cominciato a alterarne il ritmo: nel 1989 la caduta del muro di Berlino; nel 1994, a Marrakech, la firma del Wto, che non è un accordo commerciale come dice il nome trade ma è politico; nel 1996 la seconda presidenza Clinton introduce gli strumenti finanziari necessari per la globalizzazione (per muovere i soldi servono i liquidi); nel 2001 l’ingresso dell’Asia con la Cina nel Wto; nel 2008 la prima crisi seguita nel 2020 da questa».
L’Ue si è fatta trovare impreparata...
«Una delle conseguenze di questa crisi è l’emergere all’evidenza dei limiti di tutte le nostre classi dirigenti, delle nostre e di quelle europee. Nell’ottobre del 2008, come ministro dell’Economia e delle Finanze italiano, ho scritto alla presidenza di turno europea, al ministro Lagarde, una lettera. In quella lettera, scritta mentre la crisi stava esplodendo, un punto generale sul bisogno di regole per l’economia, un punto particolare europeo l’esigenza di un Fondo salva Stati per gestire la crisi. Punto primo: in sede G20 il governo italiano proponeva di stendere, insieme all’Ocse, un trattato multilaterale denominato “Global legal standard”. Il senso era: si deve passare dal free trade al fair trade. Non basta che a valle il prezzo di un prodotto sia giusto (free trade), ma è necessario che a monte ne sia giusta anche la produzione, rispettosa di tante altre regole (fair trade). Ad esempio all’articolo 4 si era scritto regole ambientali ed igieniche. Le dice niente? Il trattato fu votato dall’Ocse ma questa filosofia politica fu battuta dal Financial stability board, ispirato dalla finanza come dice il nome stesso. La logica era questa: non servono nuove regole, se non qualcosa per la finanza. La vittoria del Fsb sul Gls ha drogato, con la finanza, la globalizzazione sfrenata per altri dieci anni. Oggi ne raccogliamo i frutti avvelenati».
Passiamo al secondo punto.
«Il governo italiano faceva notare che nei trattati europei non c’era la parola crisi. Trattati che erano stati tutti scritti in termini progressivi e positivi dove il bene era la regola e il male era l’eccezione non prevista. Si iniziò, quindi, sulla base della nostra proposta la discussione sulla crisi e sulla necessità di introdurre un fondo anti crisi. Alla fine, una notte, fu invitato in Eurogruppo un notaio per incorporare con strumenti di diritto privato il primo fondo europeo. La logica della discussione, in quelle lunghe notti, era sopra serietà, pur se non austerità, nel fare i bilanci nazionali, sotto solidarietà per chi andava in crisi e, in mezzo, il fondo europeo come piattaforma da cui lanciare gli eurobond. Sugli eurobond ricordo l’articolo scritto sul Financial Times da me e Juncker».
Poi tutto si è rotto quando è esplosa la crisi della Grecia...
«Al tempo io ero presidente dei ministri dell’Economia del Ppe. Quando Juncker chiese di usare il Fondo salva Stati per salvare le banche, risposi Potrebbe, ma a patto che la contribuzione nazionale al fondo non sia basata sul Pil, come giusto nella funzione salva Stati, ma sul rischio come giusto nella funzione salva banche. Sulla Grecia le banche tedesche e francesi erano a rischio per 200 miliardi di euro, l’Italia solo per 20. L’ipotesi del passaggio nel calcolo dal pil al rischio innescò la crisi. Qualche giorno dopo esplosero gli spread e fu spedita la lettera Bce-Bankitalia del 5 agosto. Obiettivo di queste manovre non era solo prendere i nostri soldi per salvare le loro banche ma anche mascherare gli altrui vizi di sistema e, passando dal calcolo sul Pil al calcolo sul rischio, evitar di far venir fuori la vera causa della crisi, una crisi bancario-sistemica che era più nel Nord che nel Sud dell’Europa. Allora, a guardarli, quei 200 miliardi sembravano una cifra enorme. Adesso fanno ridere». 
Cosa è successo nel frattempo?
«In questi anni il fondo, che nel frattempo è diventato Mes, è stato tenuto nel parcheggio. Ora vorrebbero tirarlo fuori e fargli passare qualche confine, ad esempio il Brennero... Questo strumento è costruito come evoluzione della Troika ed è dotato di capitale minimo. Pertanto un Paese dovrebbe versare capitale per ricevere indietro capitale appena un po’ addizionato. Questo rende il Mes una partita di raggiro politico ed economico. Eppure tutti sembrano convergere sul Fondo salva Stati. Qualcuno, per sopravvivere, dice l’opposto di quello che per trent’anni ha detto per vivere. Tanti, troppi, che appena ieri erano austeristi, adesso si diventati debitisti. Comunque, alla base c’è sempre la follia della liquidità: prima la globalizzazione è stata spinta con i liquidi e la finanza, adesso la salvezza dovrebbe venire dai liquidi nella forma dei debiti. In questo momento drammatico la liquidità è fondamentale, ma prima o poi arriverà un tempo nel quale bisognerà fare i conti con la realtà. Per lo meno i falsari di Totò, con il torchio, la carta e l’inchiostro, avevano ancora qualche rapporto con il Pil. In prospettiva, superata questa fase drammatica, bisognerà tornare a fare i conti con il Pil per evitare che l’esplosione finale di una Chernobyl finanziaria».
Che mondo ci attende dopo la pandemia?
«Quello che c’è stato finora è stato global order. Ora il rischio è quello di evoluzione in un global disorder e il passaggio dalla pace mercantile a segmentazioni crescenti del mercato: ancora più dazi, di nuovo svalutazioni ecc... Passando poi dallo scenario generale al particolare interno alle nostre società, la prospettiva a cui si dovrebbe poter guardare non è solo quella delle macerie della globalizzazione ma quella della ricostruzione. Un mondo che dovrebbe tornare ad essere a quello che è stato possibile ancora negli anni Ottanta e Novanta, diverso da quello che si è rivelato prima illusorio e poi impossibile con gli ultimi anni, negli anni della estrema globalizzazione. Dopo l’ideologia del divino mercato, il ritorno dello Stato. Nello Stato e per lo Stato serve la politica. Una politica fatta con modiche quantità di tecnica – brrr – e con nulle quantità di comicità. Nell’antica Roma era fatto divieto agli attori e ai comici di fare politica. Dall’altra parte ci deve essere un mercato che faccia il mercato, non paralizzato da una infinita quantità di regole. Nel 2010-2011, compreso che il nodo di Gordio fatto da infinite leggi non poteva essere sciolto ma solo tagliato, fu portata in parlamento questa riforma: tutto è libero tranne ciò che è vietato dalla legge penale. Non solo. Tra Stato e mercato servono i valori morali e sociali, non solo i liquidi ma anche i solidi, non solo i desideri ma anche le virtù, non solo i consumi ma anche il risparmio quando questo sarà di nuovo possibile. E ancora: le famiglie, le tradizioni e le comunità del territorio. Patria è la terra dove riposano le ossa dei padri. Nel 2005 ho scritto l’articolo sul 5xMille per il volontariato e per la ricerca. Non sono più in parlamento, se ci fossi la prima cosa che farei sarebbe passare da quel 5 a un 10xMille».