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 2020  marzo 30 Lunedì calendario

Il ritorno dell’assalto ai forni

L’ osteria di Gorgonzola è a sei miglia dall’Adda, lì dove finisce il ducato di Milano e comincia la repubblica di Venezia. È, per qualcuno, il confine della libertà. Lo è di sicuro per un ragazzo che sta mangiando in un angolo, cercando di evitare le domande indiscrete dell’oste, uno che di fuggiaschi ne ha visti tanti. Il giovane, più o meno sui vent’anni, viene da un paesino dalle parti di Lecco, in una delle terre meridionali del lago di Como. È un artigiano della seta e a quanto pare non riesce a sposarsi con una certa Lucia. Il suo nome è Lorenzo Tramaglino, per tutti Renzo, e il giorno prima si è ritrovato tra i protagonisti dei tumulti di San Martino, quelli di Milano. È scappato e lo stanno cercando. Per impiccarlo. È considerato uno dei capi della rivolta. 
Quello che è successo lo sta raccontando in osteria un mercante diretto a Bergamo. La peste, la maledetta peste, non porta solo al Creatore, non guardando in faccia nessuno, nobili e pezzenti, santi e mascalzoni, ma dispensa miseria tra gli affamati e riduce all’elemosina pure onesti lavoratori. La folla, si sa, quando è senza speranza e con la pancia vuota non sente ragioni. Si sono messi tutti a bestemmiare contro il prezzo del pane, convinti che i fornai stiano lucrando sulla disgrazia. 
Non è così. Solo che al volere del popolo qualcuno dà ascolto e così il gran consigliere Ferrer ha calmierato il prezzo del pane, tanto che molti panifici hanno preferito chiudere piuttosto che lavorare per nulla e vendere sotto costo. Ordini arrivati da più in alto cancellano il vecchio decreto. Niente più calmiere e qui parte la rivolta. Tutti in strada a saccheggiare. Renzo si è ritrovato ad assaltare il forno delle grucce, alla Corsia dei Servi. I governi di fronte alle epidemie vanno a tentoni, dicono e disdicono, lanciano grida che nessuno comprende e la folla, ottusa e disperata, non pensa, ma agisce, si sfama e distrugge. Quando tutto questo sarà finito ci sarà un nuovo ordine. Non è detto che sia migliore. Renzo scommette sulla provvidenza.
È così dai tempi di Tucidide e della mattanza di Atene. «La cosa più terribile era lo scoraggiamento che prendeva chi si ammalava, in quanto il timore del contagio ritraeva dal visitarsi scambievolmente e molte famiglie abbandonate languivano. E se qualcuno mosso a pietà correva a soccorrerle moriva anche lui». È la stessa cosa che racconta Daniel Defoe nel Diario dell’anno della peste. C’è chi va in fuga nelle campagne di origine, chi se ne frega delle ordinanze del sindaco di Londra e elude, corrompe, aggredisce o uccide i sorveglianti. Chi come il sellaio H.F., testimone e narratore di quei giorni, resiste e preferisce sfidare la morte piuttosto che chiudere bottega. Il tutto scandito dal rito burocratico del «bill of mortality», il bilancio dei morti. La rivolta è quello che viene dopo la paura e dopo la paura c’è la disperazione. Verrà un giorno dove magari si rinasce, ma prima c’è fame e carestia. È quello con cui bisogna fare i conti, sempre. È il mal bianco. È la cecità dell’anima di cui parla José Saramago. 
«Non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, ciechi che vedono, ciechi che, pur vedendo, non vedono». È l’esercito di Zombie che assedia i centri commerciali in Zona uno di Colson Whitehead. Con una domanda che resta lì sospesa: ce la faremo?