Corriere della Sera, 30 marzo 2020
I Papi sorvegliati dalle spie fasciste
È ben noto che, negli anni Trenta del Novecento, gran parte dell’Europa occidentale fu governata da dittatori nazional-fascisti. L’Italia di Benito Mussolini dal 1922, la Germania di Adolf Hitler dal 1933, la Spagna di Francisco Franco dal 1939. Seguirà, dal 1940, la Francia del maresciallo Philippe Pétain. Non fu certo facile per Pio XI fronteggiare l’offensiva totalitaria e gestire i rapporti con i relativi governi, anche se, su un piano più generale, si verificò uno sviluppo nuovo e determinante nelle relazioni con gli Stati. Da Benedetto XV, che aveva concluso tre accordi concordatari, si passò a Pio XI e, poi, a Pio XII con, rispettivamente, 25 e 35 accordi. Uscito di scena dopo l’occupazione di Roma, il papato era tornato ad essere, a pieno titolo, un membro della comunità degli Stati.
Ad una produzione vasta ed articolata sui rapporti tra Santa Sede e totalitarismi, vengono ora ad affiancarsi due volumi di Giovanni Coco pubblicati dall’Archivio (non più «segreto») del Vaticano con il titolo Il labirinto romano. Un’opera imponente (oltre 1.500 pagine), preceduta da una prefazione di Emilio Gentile, autore di un fondamentale libro sul cristianesimo e i totalitarismi, e fondata su un vastissimo lavoro di ricerca nei ricchi archivi papali ed ecclesiastici, in quelli del governo, dei servizi segreti e della diplomazia fascisti e nei principali archivi diplomatici europei, nonché nelle carte del «Corriere» (il fascicolo di Guido Manacorda, docente di Letteratura tedesca, intermediario riservato tra Hitler e Mussolini).
Ad un «prologo» sugli anni 1922-31, nel corso dei quali Pio XI aveva parlato di «totalitarismo cattolico» e dichiarato ai suoi collaboratori che «quando la politica tocca l’altare, la Chiesa difende il suo altare», seguono le pagine dedicate alle difficoltà post-concordatarie, con la crisi del 1931 per l’Azione cattolica che il Duce temeva diventasse un nuovo partito politico. Significativa una soffiata della polizia politica che – riferendo, nell’ottobre 1929, confidenze del nunzio a Parigi e futuro segretario di Stato Luigi Maglione e di alcuni porporati – riporta aspre critiche a Pio XI che avrebbe «disprezzato» l’opinione dei cardinali. Questo il commento dell’informatore: «Esagerano senza dubbio questi eminentissimi; ma sono decisi a tutto e lavorano alacremente, in Italia e fuori, a preparare un conclave da cui dovrà uscire un Papa nuovo, di fiera opposizione al governo italiano». Dal canto suo il ministro degli Esteri francese, Aristide Briand, dichiarava a Maglione che la Francia sperava che Pio XI affermasse «la sua indipendenza… e non cadesse in balia del governo italiano», facendo «causa comune con Mussolini». Del resto i medesimi servizi avevano rivelato, qualche mese prima, che il Papa aveva ventilato al cardinale Rafael Merry del Val l’ipotesi di una condanna all’Indice dei discorsi del Duce sui Patti del Laterano e avrebbe messo, addirittura, allo studio un documento «contro il nazionalismo e i nazionalisti, contro il fascismo e i fascisti». Nelle carte del Sant’Uffizio, peraltro, Coco non ha trovato alcun riscontro.
Nel settembre 1929 finiva l’era del segretario di Stato Pietro Gasparri, l’artefice della Conciliazione, che verrà sostituito, nel febbraio successivo, dal cardinale Eugenio Pacelli. Di particolare interesse le pagine dedicate all’avvento di Hitler e alla stipulazione del Concordato con il Reich germanico e quelle riservate alla crisi con la Spagna repubblicana, che si aggraverà, dopo il 1936, e vedrà la Santa Sede schierarsi con il franchismo. Pio XI non esiterà ad affermare, nel settembre, che una «satanica preparazione» aveva riacceso in quel Paese la «fiamma d’odio» e la «più feroce persecuzione» contro la Chiesa. Fiamma alimentata in Russia, Cina, Messico e America del Sud da «una universale, abilissima propaganda» per armare le masse contro «ogni umana e divina istituzione». Il «veleno della propaganda bolscevica» minacciava ormai «l’Europa e il mondo intero». Meno male, si potrebbe osservare, che c’erano il Duce e il Führer.
Pacelli, invece, prima di procedere al riconoscimento ufficiale del governo franchista di Burgos, chiese chiarimenti sul principio della separazione tra Stato e Chiesa e sull’ingerenza nelle questioni religiose previsti dal programma governativo. Del resto il medesimo Pacelli, in una Congregazione cardinalizia del dicembre 1936, aveva messo in guardia circa il riconoscimento del governo falangista per evitare che «si formi o meglio si confermi al mondo l’impressione» che la Santa Sede fosse «al servizio del fascismo» e si facesse «rimorchiare da questo». Inoltre aveva avvertito che si doveva «tenere fermo e non ammettere soprusi da parte del governo di Burgos», il quale si sarebbe arrogato il potere di allontanare i vescovi «ribelli» dalle proprie diocesi. Pacelli si era anche rifiutato di aderire alla richiesta di Franco per la scomunica di clero e fedeli baschi.
Passando ad un diverso argomento affrontato da Coco, va ricordato che già nel luglio del 1923 Mussolini aveva assecondato la pretesa vaticana che venisse vietato alla Chiesa metodista di stabilire in Roma istituti scolastici. Un tema di recente affrontato da Paolo Zanini nel volume Il pericolo protestante (Le Monnier) dedicato all’offensiva della Chiesa di Roma contro il protestantesimo e la libertà religiosa. Il Vaticano giunse addirittura ad ottenere, negli anni Trenta, che l’ufficio di podestà di Torre Pellice, antica cittadella valdese, venisse affidato ad un cattolico, lamentandosi perché i «culti tollerati» dallo Statuto albertino erano diventati, con i provvedimenti fascisti del 1929-31, «ammessi», provocando un aumento delle «molteplici sette». Tra il 1933 e il 1935 la polemica antiprotestante si focalizzò contro i pentecostali e, più in generale, contro il proselitismo protestante. Del resto monsignor Alois Hudal, più volte citato da Coco, rettore del Collegio austriaco dell’Anima in Roma, sottolineò nel 1933 che la diversità del nazismo, rispetto al fascismo, era dovuta all’essere «nato dal protestantesimo». Ancora nel 1948 la Congregazione vaticana del Concilio non esiterà a riaprire le ostilità e il nunzio Francesco Borgongini Duca definirà i riti protestanti contrari al buon costume (e quindi da vietare). La definitiva sconfitta del Vaticano sarà segnata dalla firma delle «intese» con le religioni diverse dalla cattolica che, dopo quella con i valdesi del febbraio 1984, continueranno a moltiplicarsi e ad essere approvate dal Parlamento.
Tutte importanti le pagine dedicate da Coco alle reciproche rimostranze del Papa e del Duce in numerose occasioni: dalle nuove crisi per l’Azione cattolica, alle proteste perché le leggi razziali vietavano i matrimoni «misti» tra ariani e non ariani, che la Chiesa poteva ammettere, e per il sospetto che Mussolini – definito da Pio XI un personaggio da farsa al quale «non si poteva credere» – volesse introdurre, alla fine del 1938, il divorzio; dalla volenterosa resa della Chiesa austriaca al nazismo, all’ipotesi di scomunicare Hitler nel 1939 e di una enciclica di condanna del razzismo fatta preparare, ma rimasta «nascosta» fino ad anni recenti; dalla «solitudine» del Papa anche in Vaticano (monsignor Domenico Tardini, futuro segretario di Stato, ripeteva che «continuava ad esagerare»), al suo «inesorabile declino» e ai difficili festeggiamenti per il decennale dei Patti Lateranensi, che il Papa non potè solennizzare a causa della morte, avvenuta all’alba del 10 febbraio 1939. Temi che sono ancora oggetto di un vivace dibattito storiografico.
Rilevante anche la parte dedicata all’elezione di Pio XII, che sollevò perplessità del governo fascista, il quale avrebbe voluto una discontinuità con il «governo» di Pacelli. Sono vicende in parte note, grazie ad alcuni giornali dell’epoca e soprattutto ai documenti diplomatici dei principali Stati europei. Le pagine sull’elezione vanno, però, lette alla luce di quelle precedenti dedicate ai non facili rapporti tra il Papa regnante e il Papa in pectore e alle frequenti divergenze «politiche» tra i due sull’orizzonte diplomatico da considerare per tutelare, nei diversi Paesi, gli «interessi cattolici».
Se i così detti «silenzi» di Pio XII continueranno a turbare la discussione scientifica, i documenti evidenziati da Coco sulle scelte politico-apostoliche di Pio XI possono, forse, turbarla anche maggiormente. E a confermare il famoso rapporto tra «pelo e vizio» giunge ora il novantenne padre gesuita Bartolomeo Sorge, a lungo direttore di «Civiltà Cattolica», che, in una recente intervista a «Repubblica», richiama i valori della Costituzione laica del 1948 e dichiara che il populismo «distrugge la democrazia rappresentativa», mentre il sovranismo «apre al nazionalismo, al razzismo e all’egoismo», definendo l’appoggio della Chiesa a Silvio Berlusconi e al centrodestra «uno dei tanti peccati ecclesiastici di cui la Chiesa deve chiedere perdono a Dio». A più forte ragione, quindi, il perdono avrebbe dovuto essere chiesto da quella di Pio XI e sopratutto dal «collega» gesuita padre Pietro Tacchi Venturi, efficacissimo ufficiale di collegamento tra il Papa e il Duce.
All’opera di Coco si può collegare un recentissimo volume, basato su una documentazione inedita, «davvero speciale», dei mai esplorati archivi della Gendarmeria pontificia, che supera gli anni Trenta coprendo quelli dal 1940 al 1944: Cesare Catananti, Il Vaticano nella tormenta (San Paolo). Come scrive Andrea Riccardi nella prefazione, l’indagine è preziosa per misurare «gli spazi del Papa in un periodo di forte costrizione interna», e getta luce sugli anni della guerra e sui nove mesi dell’occupazione nazista di Roma, mettendo in evidenza anche il problema dell’«asilo» vaticano (ebrei, perseguitati, soldati in fuga) e quello della «sopravvivenza di quest’ultimo fazzoletto di libertà nell’Europa occupata dai nazisti».
Catananti mette in chiaro la diversità, nella Curia, di linee come quella del cardinale Nicola Canali, governatore dello Stato dal 1939 al 1961, «simpatizzante per il regime fascista», e quella di monsignor Giovan Battista Montini, il futuro Papa Paolo VI, «artefice della azione di ospitalità agli ebrei e a ricercati in tutta Roma» (tra i quali Alcide De Gasperi e Pietro Nenni). Una diversità definita «conflitto» in un dossier del ministero degli Esteri italiano. Dal canto suo, Pio XII «si muove con prudenza ma chiaramente a favore dell’utilizzo della Chiesa come spazio di asilo», in mezzo ad informatori del regime, tra i quali il barbiere della Gendarmeria. Il responsabile di un ufficio di polizia, Giovanni Fazio, genero del comandante dei gendarmi, sarebbe stato persona di fiducia del capo della polizia fascista, Arturo Bocchini, e forse spia dell’Ovra.
Tra i documenti utilizzati, «il piano vaticano di come rispondere ai tentativi di invasione del piccolo Stato e di rapimento del Papa». Nella deprecata ipotesi che «venissero sopraffatti gli uomini adibiti alla difesa delle porte di accesso al Palazzo Apostolico, tutti i militari, agli ordini dei rispettivi superiori, raggiunto l’appartamento pontificio unitamente alle Guardie nobili, faranno scudo con il proprio corpo alla Sacra e Augusta Persona del Sommo Pontefice».
Dal volume emergono «conflitti di Curia, istituzionali e personali, e (non note) tensioni politico-diplomatiche con l’Italia». Ne risulta una dialettica «quanto mai intensa ed articolata e per gli operativi», che dovevano rispondere a «vertici dalle posizioni non sempre unanimi, fu vita dura».
Interessante anche la proposta del principe Carlo Pacelli (nipote di Pio XII) che suggerisce, nel giugno 1944, a Tardini l’idea di una «flotta pontificia», mentre un informatore riferisce al ministero degli Esteri, nel settembre, che la Segreteria di Stato avrebbe chiesto alle potenze vincitrici garanzie internazionali per i confini del Vaticano, un porto sulle coste del Lazio, un aeroporto in territorio italiano e un «seggio alla Conferenza della pace». Una prospettiva che Tardini, il 1° maggio del 1946, sottopone all’ambasciatore d’Italia, Francesco Babuscio Rizzo, consegnandogli un promemoria ufficioso e facendo poi un passo ufficiale con una lunga nota diplomatica. Non conosciamo la risposta del governo, ma è certo che, qualche decennio dopo, durante i negoziati (1975-1984) per la revisione del Concordato e di alcune norme del Trattato del 1929, nessuna delle questioni sollevate nel 1946 venne sul tappeto.