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 2020  marzo 29 Domenica calendario

Parlate in italiano, capiranno tutti

L’epidemia causata dal coronavirus (termine scientifico anglolatino, ossia «virus dalla forma di corona»), che ha colpito estensivamente il mondo intero e sta penetrando in profondità nelle popolazioni, è un evento che si collega con altri fenomeni che si presentano con la stessa doppia dimensione: di ampia portata geografica e di altrettanta profondità verticale nelle comunità sociali. Una doppia dimensione alla quale non rispondono appieno, per la verità, i due termini già esistenti di epidemìa, «presenza nella comunità sociale», e pandemìa, «coinvolgimento di tutta la comunità sociale». Alla doppia dimensione di cui sto parlando dobbiamo dare invece un altro significato, che investe, come vedremo, l’organizzazione culturale del mondo moderno e specificamente l’uso delle lingue.
Le azioni di difesa dagli attacchi del morbo vanno, infatti, individuate, valutate e svolte chiaramente su tre piani. 
Anzitutto, si spera ardentemente che ancora una volta la scienza, indagatrice dei fatti biologici, metta a segno un’altra delle vittorie che, negli ultimi due secoli (Edward Jenner, vaiolo, 1798), hanno salvato l’umanità da nuovi e ripetuti stermini (intendano bene quegli strani gruppi che hanno combattuto i vaccini!).
Vengono subito dopo, ma a braccetto con le indicazioni della scienza, le decisioni e le azioni, organizzative e all’occorrenza coercitive, con le quali l’autorità politica nelle sue varie articolazioni e attraverso i suoi servizi mira ad arrestare l’effetto del morbo. Decisioni e azioni che si proiettano su molti obiettivi collaterali che competono ad essa autorità, come le ricadute degli eventi biologici e sanitari sulle dinamiche economiche e sociali delle comunità interessate. Che la competenza e la coscienza assistano nella massima misura ogni autorità politica nello svolgimento di questi suoi compiti!
Il terzo piano dell’azione. Tra i compiti dello stesso soggetto politico, anche se non suoi esclusivi, c’è quello di elaborare e diffondere l’informazione rivolta alla totalità degli interessati nella popolazione di suo riferimento. Un’attività che – qui l’anello dell’argomentazione si chiude su sé stesso – non punta solo al bene del singolo a cui è rivolta, ma permette che si raggiungano davvero gli scopi generali ai quali tendono i due poteri in questione. Il comportamento pronto e collettivo della comunità bene informata è parte integrante dell’azione politica e dell’attuazione dell’opera svolta dalla stessa scienza.

Collocato in questo quadro, e in un contesto generale di tanto rilievo, emerge a questo punto in tutto il suo valore il tema delle funzioni e quindi del valore della lingua. Acquistano infatti grande chiarezza due argomenti che spesso, per scarso acume dei disputanti contrapposti, sembrano cozzare tra loro: l’importanza della lingua che assicura la piena informazione delle cose nella massa (o totalità) dei cittadini del Paese direttamente interessato e la necessità che gli operatori nei diversi settori di punta sappiano intendersi, discutere, collaborare efficacemente con i loro simili di ogni altra parte del mondo, e quindi in una medesima lingua condivisa e specializzata.
Su questo secondo punto non ci dovrebbe essere bisogno di argomentazione. Che questa lingua sia oggi l’inglese non possono esserci dubbi: precisando subito che si tratta dell’inglese scientifico globale, il quale, è bene aggiungere, è nutrito di un lessico specifico al 90 per cento di matrice greco-latina (ah, le disprezzate lingue classiche! Quanti sanno che nella Germania di oggi per iscriversi alla facoltà di Medicina occorre avere studiato il latino o sottoporsi a un esame sul lessico latino?). Insomma, non ci dovrebbe essere disputa su questo versante del tema linguistico, purché qualitativamente riconsiderato. C’è molto da dire, invece, sull’altro versante.
Qualcuno potrebbe mettere in dubbio, dopo quello che ho detto più sopra, che sia altrettanto necessaria, pensando al pubblico italiano, l’informazione in una lingua italiana chiara sotto tutti gli aspetti? La domanda s’impone perché è questo il fatto che lascia molto a desiderare e ci costringe a tenere sempre aperto il dibattito sulle debolezze e le deformazioni dell’istruzione linguistica. Con l’eccezione di alcuni scienziati che avvertono, proprio loro, la serietà del problema e si fanno intendere, in larghe fasce e schiere dei parlanti attraverso i media si riscontrano abitudini linguistiche e paralinguistiche di questo genere: nei notiziari, un parlare velocissimo e con pronunce affettate; costruzioni sintattiche aggrovigliate; argomentazioni monche; preferenza per termini inglesi scarsissimamente noti alla massa degli ascoltatori. Subito tre esempi dell’ultimo fenomeno: l’uso di smart working, che vuole segnalare la possibilità di condurre il lavoro con agevolazioni sugli orari e i luoghi. È stata proposta dagli esperti e qualcuno (il rettore dell’Università di Padova: siamo vicini a una delle prime «zone rosse» del contagio!) ha felicemente accolto la traduzione in lavoro agile. Altro caso: è un’aberrazione l’uso di droplet per indicare le «goccioline» di saliva che emettiamo parlando. Ancora, non c’è affatto bisogno di chiamare caregiver i «familiari assistenti». E così via.
Concludiamo. Occorreva proprio una minaccia gravissima per comprendere che le lingue «nazionali», di forte e consolidata tradizione scritta e colta nei diversi campi del sapere e dell’agire, sono strumenti insostituibili per la vita organizzata delle comunità sociali, grandissime, grandi o piccole che siano? Si fa spesso appello alla «coesione sociale» (si ripete: «Tutti insieme ce la faremo») e alla consapevolezza di tutti: ma quando si parla di comportamenti dell’intero corpo sociale, lo strumento per raggiungere quei risultati è la lingua chiara, completa e condivisa da tutti. La lingua prima, vissuta e debitamente studiata da tutti. Ogni individuo, poi, si dota degli altri strumenti linguistici necessari per attrezzarsi nel proprio lavoro, allargare il proprio orizzonte culturale, pianificare gli ulteriori sviluppi della propria vita.