la Repubblica, 29 marzo 2020
Far finta di essere sani
Noi credevamo di poter “rimanere sani in un mondo malato”. Lo ha detto papa Francesco, solo davanti alla notte, nel diluvio romano, ed è una sintesi di tremenda efficacia. Descrive una presunzione di immunità che si fonda, anzi si fondava, sull’idea che la corsa dell’uomo, la curva esponenziale del progresso tecnologico e scientifico, lo avesse portato a una distanza incolmabile dal resto del mondo vivente. Si chiama: complesso di superiorità.
Ora quella distanza è quasi azzerata. L’uomo con lo smartphone è un poco meno vulnerabile dell’uomo con la clava. Ha costruito presidi importanti contro la malattia e la morte. Ma scopre – e non se lo ricordava più – di appartenere alla stessa biosfera della scimmia, del pipistrello, della medusa, del virus. E deve fare i conti con “tecnologie” primitive eppure efficientissime, già collaudate nell’era dei dinosauri, come quella che presiede alla propagazione dei virus.
Non sappiamo se gli squilibri ambientali (la superfetazione della specie umana è tra questi; l’avido sfruttamento di risorse limitate, deforestazione in primis, è tra questi) siano tra le cause di questa catastrofe, anche se è una tesi accreditata. È dalle foreste primordiali, trattate dagli uomini come se fossero il proprio orto, che sprigiona la massima parte delle zoonosi (trasmissione di malattie dall’animale all’uomo). E di “sano” c’è ben poco anche negli allevamenti intensivi, mostruosi accumuli di proteine drogate. Certo l’idea che la malattia del Pianeta possa non riguardarci, adesso che siamo ammalati anche noi, risulta più sciocca e più arrogante di quanto era già prima.