Corriere della Sera, 29 marzo 2020
L’Europa e il modello svizzero
Siamo nell’epoca dei sovranismi e dei patriottismi locali, ma lo Stato nazionale è sempre più incapace di affrontare i problemi da cui siamo afflitti. Ce ne siamo accorti quando abbiamo constatato che la soluzione locale di un problema climatico può renderci virtuosi ed encomiabili, ma ha, su una più vasta scala, modesta importanza. E lo comprendiamo con maggiore chiarezza quando constatiamo che le epidemie, in un mondo globalizzato, non hanno confini. Non esiste un potere mondiale a cui affidare il compito di combattere il coronavirus, ma la lotta sarà tanto più efficace quanto più sarà collettiva e soprattutto se le ricadute economiche dell’epidemia saranno affrontate collegialmente da Paesi che appartengono a una stessa area geografica e sono già uniti da forti vincoli politici e amministrativi. I membri della Unione Europea sembrano averlo capito e hanno preso in poche settimane qualche decisione che era parsa per molto tempo impossibile. Come hanno ricordato Alberto Alesina e Francesco Giavazzi in un articolo pubblicato dal Corrieredel 23 marzo, il Meccanismo Europeo di Stabilità ( a cui i governi possono attingere in caso di necessità) è diventato più flessibile, la clausola del deficit è stata sospesa e le oscillazioni dello spread ( il divario fra la redditività delle obbligazioni tedesche e italiane) non possono essere ignorate dalla Banca Centrale Europea e devono, se necessario, provocarne gli interventi. L’emissione di «coronabond» (una versione aggiornata degli eurobond) ha nuovamente alzato il muro che ha separato per parecchi anni l’Europa settentrionale dall’ Europa meridionale. Ma la Banca Europea degli investimenti è pronta a sostenere le imprese che avranno bisogno di denaro, mentre il Parlamento di Strasburgo ha approvato aiuti per 37 miliardi di euro.
Spetta ora ai ministri delle Finanze dell’Eurogruppo trovare formule istituzionali per dimostrare che questa è una crisi europea. Esiste nel frattempo un’altra occasione che l’Europa dovrebbe cogliere. Grazie a Donald Trump, al suo «sovranismo americano» e alla sua guerra economica su due fronti (con la Cina e con la Unione Europea), gli Stati Uniti stanno rinunciando alla loro leadership. Esiste ancora un patto politico-militare, ma la Nato, dopo la fine della Unione Sovietica, ha perso il suo tradizionale nemico e serve soprattutto a giustificare una presenza militare degli Stati Uniti (sarebbero circa un centinaio le installazioni americane di varia grandezza presenti soltanto in Italia) per guerre che non rispondono agli interessi dell’Europa. Questo non significa che l’Ue debba rinunciare alla propria difesa. Ma perché dovrebbe lasciare nelle mani di Trump e dei suoi successori un compito che i suoi membri, con la force de frappe francese, sarebbero in grado di assolvere? Esiste un modello a cui l’Europa potrebbe ispirarsi. È quello della Svizzera. L’esercito della Confederazione Elvetica non è bellicoso e non vuole vincere guerre. Vuole fare comprendere al mondo quale prezzo farebbe pagare a un suo eventuale aggressore; una strategia che è stata convincente durante la Seconda guerra mondiale e che l’Unione Europa potrebbe adottare.