ItaliaOggi, 28 marzo 2020
Periscopio
La Caporetto nella guerra contro il Covid-19 c’è stata nel weekend del 7-8 marzo, quando il governo annunciò un decreto per la chiusura della Lombardia che rimase in ballo per 25 ore, provocando però nel frattempo un esodo di massa verso il Sud che ha sparso potenziali contagiati per tutto lo stivale. Augusto Minzolini. Il Giornale.
Il Pd non analizza i mutamenti sociali provocati dalla Rete. Resta affezionato al welfare verticale, dal centro alla periferia. Michele Santoro, conduttore tv (Stefano Lorenzetto). Corsera.
Il Fatto, che continua abusivamente a impalcarsi come maestro di giornalismo contro tutti, è lo stesso quotidiano che in prima pagina titolò «Lega sciacalla» quando invano, ma opportunamente, i governatori del Nord, Fontana, Zaia e Fedriga, cercarono di dare la sveglia-allarme a Roma. Renato Farina. Libero.
Adesso il mondo dello spettacolo annovera ben tre don Matteo, però solo il più anziano non oscilla nei sondaggi, quello che da giovane faceva a botte al cinema con Bud Spencer. Gli altri due fingono di darsele tra loro in Parlamento. Il lombardo è un parroco alla mano, purché accessoriato di telefono per i selfie. Il toscano è un prelato algido, però ironico. Ostentano simboli e testi religiosi, ma non abbiate paura: rimangono ostinatamente in missione per conto di D’Io. Massimo Gramellini. Corsera.
La Francia conta sulla nostra indolenza, mascherata di sacri principi, per trattarci ancillarmente. Mentre ci gingilliamo col tunnel della Val di Susa, tra ribelli e pauperisti, i francesi, dall’altra parte, hanno inaugurato un tratto sotterraneo di 9 chilometri, capolavoro di ingegneria. Il mondo fa il confronto e retrocede l’Italia in B. Il Conte-bis ha poi scelto di non estrarre il gas al largo della Puglia, rinunciando a un’enorme ricchezza per recitare la parte del figlio dei fiori ecologista. Emmanuel Macron, invece, attraverso la sua Total, trivellerà a piacere sul lato greco dello stesso giacimento. Come detto, l’Italia se le cerca. Giancarlo Perna. La Verità.
Sono contento quando mi dicono che sono allievo di Gianni Brera ma non sono il suo erede: perché Brera non può avere eredi, il suo stile non è imitabile. Nello sport sono esistiti grandi dualismi: Bartali e Coppi, Pelè o Maradona, nel giornalismo c’è Brera e basta. Io mi considero molto fortunato per avere avuto la possibilità di avere fatto un pezzo di strada con lui. Gianni Mura (Giorgio Lambri). Libertà.
Abbandonato Cesare Musatti non ho lasciato la psicanalisi. Ho scelto un altro terapeuta, Giuseppe Fara, col quale mi trovai benissimo. Ne ho fatto il protagonista del mio libro La malattia chiamata uomo. Ferdinando Camon, scrittore (Antonio Gnoli). la Repubblica.
Mi divertivo a scuola, durante le lezioni, a scarabocchiare la mia firma: ha avuto tante evoluzioni, la cambiavo ogni volta, evidentemente avevo voglia di fare autografi. Ora chiedono solo foto, tanta fatica sprecata. Giorgio Panariello, comico (Renato Franco). Corsera.
I musicisti classici con i quali lavoravo presero malissimo quel Sanremo. Avevo detto al mio maestro di violino che sarei stato via una settimana. Tornai dopo un mese, famosissimo. Non mi parlò per vent’anni, e non dico per esagerazione. Da allora mi misi a scrivere canzoni alternando cose semplici come Il cane di stoffa, Villaggio sul fiume, Pera matura, twist come Giovane giovane e altre decisamente più strutturate, quasi di impronta sinfonica. Penso a La nostra casa in cima al mondo, che nel 1966 Mina stava per cantare al Festival. Sarebbe stato un clamoroso ritorno perché aveva giurato di non farsi più vedere lì. Poi non se ne fece nulla e mi ritrovai con Claudio Villa, anche se pure in questo caso Mina la cantò in tv e ne fece un capolavoro. E poi certo, Io che non vivo. Pino Donaggio, cantante (Luigi Bolognini). la Repubblica.
Nel 1952 andai in America. Passai da Long Island a trovare la sorella di mia madre, con cui avevamo perso i contatti da anni. Più tardi andò a visitarla anche mio padre, che provò a parlarle in veneto. Rispose in un misto di dialetto, italiano e inglese con accento americano. Era l’anno dell’elezione di Eisenhower. Io studiavo all’università di Chicago. Nel voto precedente c’erano stati brogli (già funzionava la Chicago-machine che nel 1960 fu decisiva per la vittoria di Kennedy), e alcuni studenti stranieri furono mandati come scrutatori nei seggi. Il mio era una casa privata, nel quartiere dei neri. Furono gentilissimi. Insistettero perché mangiassi il loro pollo fritto, retaggio delle radici del Sud. Sergio Romano, ex ambasciatore italiano, saggista di politica estera (Aldo Cazzullo). Corsera.
La leggenda narra che nell’impasto che doveva tenere insieme le 456 pietre del Ponte di Mostar l’astuto Hajrudin avesse fatto aggiungere albume d’uovo, tenace ma leggerissimo collante, neanche stesse preparando un’infornata di baklava, il tipico dolce turco che si mangia in tutti Balcani, e non un ponte dal disegno spericolato. Il segreto? Forse era la chiara d’uovo. Non doveva essere convintissimo neppure lui della trovata della chiara d’uovo, se (come ancora narra la leggenda) la notte prima dell’inaugurazione del ponte il nostro architetto se la diede a gambe da Mostar, convinto com’era che sarebbe crollato al primo carretto di passaggio su quelle pietre sospese sulla Neretva. Lo dovettero andare a riprendere che era già un bel po’ avanti, sulla strada per Istanbul, e convincerlo a tornare per ricevere tutti gli onori: il ponte aveva tenuto, il suo trionfo di archistar medievale era negli annali. Maurizio Pilotti. Libertà.
A Milano, vivo in via Borsieri, all’Isola. Vado sempre al mercato e al bar. All’inizio tutti mi chiedevano i selfie, ora si sono abituati e mi salutano. Mi sembra di stare in un paesino. Se passo davanti alla stazione, invece, ricordo quando lavoravo per mille lire all’ora in una fabbrica di Luino che produceva ghiaccio per i treni: portavo i blocchi nelle carrozze che trasportavano carne e, quando arrivavo a 38 mila lire, andavo a trovare la mia ragazza a Parigi. Enzo Iacchetti, attore. Corsera.
Cristiano Malgioglio è disperato: «Sono fidanzato con un trentottenne da sballo di Istanbul e il destino ci sta separando. Io, qui, nella mia casa di Milano, con le mie mise che nessuno può ammirare. Lui, là, lontano, con i suoi muscoli guizzanti che non posso accarezzare».
Giro il mondo con una borsa di medicine. Farmaci di tutti i tipi, adatti per ogni sintomo. Mai fidarsi delle apparenze. Vittorio Zucconi (Antonio Gnoli). la Repubblica.
Stato Pontificio: aprite i porti. Chiuderemo i portoni. Roberto Gervaso. Il Giornale.