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 2020  marzo 28 Sabato calendario

Orsi & tori

Il coraggio, ci vuole coraggio, ma come diceva Don Abbondio, «il coraggio, uno, se non ce lo ha, mica se lo può dare». Ecco, al governo e al sistema di gestione del Paese è mancato e manca tuttora il coraggio. È mancato per il sistema di protezione sanitaria; è mancato, finora, il coraggio sul finanziamento delle imprese che ha raccomandato Mario Draghi. Prendiamo la questione delle attrezzature protettive per medici è infermieri. Con l’onestà di un uomo serio, anche se più con esperienza finanziaria che operativa sul campo, il capo della Protezione civile, Angelo Borelli, prima di ammalarsi e certo non per giustificarsi, in un’intervista a Repubblica ha spiegato che «il virus viaggia più veloce della burocrazia». Tradotto: per circa due mesi il governo ha pensato di poter procedere agli acquisti di tute speciali, mascherine professionali, occhiali, con le normali procedure dell’ufficio acquisti dello Stato che deve fare per ogni acquisto un bando. Perché si arrivasse a nominare il commissario Domenico Arcuri per gli acquisti e la riconversione di alcune aziende italiane per produrre ciò che è mancato troppo a lungo, ci sono voluti quasi due mesi. Con più coraggio, che in emergenza deve superare le prassi giuridiche, non sarebbe successo il disastro primo, quello della contaminazione e la morte dei medici, che ha finito per essere un moltiplicatore drammatico del contagio. Borelli ha fatto capire che nessuno si decideva a firmare, per la combinazione perversa di lentezza della burocrazia e indisponibilità dei burocrati, legittimamente preoccupati di finire sotto processo per una magistratura che essa stessa pregna di burocrazia e miopia.Bastano due casi per capire che cosa è successo, come cioè si è arrivati al disastro: 1) il primo contaminato, il giovane di Codogno, prima ha contaminato gli amici di calcetto, naturalmente involontariamente: poi è andato tre volte al pronto soccorso dove i medici, non allertati da una discrezione dei sintomi, l’hanno rispedito a casa tenendosi in ospedale il virus; 2) secondo caso, l’ospedale di Alzano Lombardo, già descritto su queste colonne: tre pazienti accertati; chiusura dell’ospedale per tre ore, senza compiere la necessaria, profonda disinfestazione; primo medico al turno di notte contaminato e invitato a completare il servizio mettendosi solo la mascherina.
Nel Manuale Covid-19 di prevenzione e terapia in base all’esperienza cinese, che abbiamo pubblicato martedì 25 su questo giornale grazie all’autorizzazione delle Fondazioni Jack Ma e Alibaba e che è disponibile gratuitamente per tutti i medici al link MilanoFinanza.it/download-manuale-covid19, la prima cosa da fare è dotare medici e infermieri di tutte le protezioni e le tecnologie necessarie. Il concetto è: siamo in guerra, i nostri soldati sono i medici, il campo di battaglia è l’ospedale; non ci si può permettere che in ospedale sia il virus a vincere, contaminando i medici. L’emergenza dura ormai da settimane e settimane e ancora non sono garantite al personale sanitario tutte le protezioni possibili. È mancato il coraggio di sconfiggere la burocrazia. Come manca il coraggio di dire la verità sul quando le predizioni più serie dei modelli matematici collocano il picco non prima della metà di aprile; come soltanto ora si prende in considerazione quanto i modelli indicavano rispetto al rapporto fra contagiati acclarati e asintomatici: fin da subito i modelli indicavano un rapporto di 1 a 5. Se si avesse avuto il coraggio di crederci, si sarebbe provveduto a cercare soluzioni per isolare gli asintomatici.
Ma mentre si spera che, sia pure con ritardo grave, ora si arrivi a proteggere i medici e gli infermieri, la più grave mancanza di coraggio riguarda la politica di intervento per salvare le aziende del governo, che soffre esso stesso di contaminazione della lentezza della burocrazia e per ora non mette a frutto che cosa insegna la mancata, tempestiva protezione, del personale medico. Il più significativo insegnamento è che la guerra, anche per quanto riguarda il disastro economico, la si vince con la velocità di decisione e intervento, quella velocità che Mario Draghi ha raccomandato nel suo articolo sul Financial Times.
Chiunque abbia letto l’articolo dell’ex presidente della Bce ha compreso due messaggi fondamentali: occorre fare presto, prestissimo per salvare le aziende; non ci si deve preoccupare di fare anche un debito enorme per dare liquidità alle aziende. Il messaggio era diretto a tutti gli stati europei ma in realtà al mondo. È naturale che in primo luogo il messaggio fosse diretto all’Italia non solo perché Draghi è il campione che il Paese può vantare, ma anche perché l’Italia è (in realtà, era) il Paese più colpito dopo la Cina, prima che avvenisse il decollo drammatico dell’epidemia negli Usa.
Draghi si è sentito recentemente con il presidente Giuseppe Conte e da quel colloquio Conte ha trovato la forza per dire no alla Troika, cioè ai vincoli di controllo per chi usa i fondi del Mes, il salva Stati, come era successo alla Grecia.
Draghi deve aver spiegato a Conte che è assai improbabile che la Germania, l’Olanda e gli altri Paesi del Nord rinuncino al loro convincimento di condividere il debito di tutta l’Europa e anche di acconsentire a emettere eurobond o coronabond garantiti appunto da tutti gli Stati europei.
Per questo Draghi, specialmente in privato, insiste sulla sua tesi di partire immediatamente e senza porsi limiti di quantità, proprio come lui fece nella crisi del 2012, quando in un drammatico comitato esecutivo della Bce, a fine luglio, riuscì a mettere in minoranza il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, assolutamente contrario a che la Banca cominciasse a comprare titoli di Stato e anche corporate bond. Quel giorno ci sentimmo subito dopo la conferenza stampa in cui Draghi oltre a comunicare le decisioni spiegò anche che Weidmann aveva votato contro le scelte fatte. Bastò, allora, quell’informazione che la Germania era contraria per far precipitare le borse nella convinzione che senza la Germania non si poteva fare niente. Il presidente Draghi mi disse: aspettiamo che aprano i mercati americani e che circolino i report degli analisti delle maggiori case di investimento. Aveva ragione, anche perché la sua decisione era stata ponderata e verificata: i mercati europei ritornarono in positivo. Ma era stato possibile mettere in minoranza Weidmann perché nel consiglio della Bce si decide a maggioranza, mentre per gli eurobond e per il Mes (il fondo salva Stati) si deve decidere all’unanimità.
Tutto ciò cosa significa alla luce dell’articolo di Draghi su FT e dei consigli che può aver dato al presidente Conte? Il rigore di Draghi è sempre stato altissimo e non è mutato neppure in questi giorni, ma privatamente Draghi ha spiegato anche molto in alto che cosa l’Italia deve fare immediatamente e anche da sola, visto che il consenso europeo non matura.
1) L’Italia non deve aver paura di fare debito e non è condizionante il fatto di non ottenere finanziamenti dal Mes. L’Italia non ha problemi a collocare titoli di debito per la semplicissima ragione che, proseguendo sulla linea definita da Draghi alla Bce con il consenso di tutti, salvo la Germania e i suoi satelliti, dopo un primo sbandamento provocato proprio dalla seconda rappresentante della Germania nella banca, la presidente Christine Lagarde ha fatto deliberare che potrà comprare titoli di Stato e corporate bond anche non tenendo conto della proporzionalità del pil di ciascun Paese. Quindi lo Stato Italia può finanziarsi senza problemi.
2) Draghi dà atto al governo di aver preso iniziali provvedimenti corretti per finanziare le persone, anche se le procedure sono macchinose, ma al momento non è stato fatto niente di sostanziale per le aziende e quindi: che posti di lavoro ci saranno per i cittadini se poi non ci sono più le aziende? Per esempio, nell’importantissimo settore del turismo, alcune aziende sono forse già irrecuperabili, ma le altre vanno salvate a tutti i costi.
3) E come possono essere salvate le aziende se non iniettandole tutta la liquidità che serva non solo a non farle chiudere durante la crisi da virus, ma soprattutto a poter ripartire alla grande appena l’emergenza si sarà attenuata? Draghi è sempre stato un banchiere, da quando non ha fatto più il professore all’Università di Firenze perché l’allora ministro del Tesoro Giovanni Goria, con il pieno consenso di Bankitalia, lo designò al consiglio della Banca mondiale a Washington; poi è stato consulente della Banca d’Italia, direttore generale del Tesoro, banchiere d’affari a Goldman Sachs e quindi degnissimo governatore della Banca d’Italia, con la contemporanea nomina (prestigiosissima) a presidente del Financial stability forum e, infine, presidente della Bce. Ha quindi tutte le conoscenze e competenze per poter indicare la sua ricetta imperniata sulle banche che devono essere garantite dallo Stato, che contemporaneamente può finanziarsi senza limiti per il suo fabbisogno.
4) Infatti, la formula Draghi è proprio quella di costruire immediatamente il seguente meccanismo, che per altro è quello adottato già in Germania. Il Paese che si oppone a un’Europa unita nel campo del debito degli Stati, nonostante la tragedia che ha colpito il mondo. Il perno è la Kfw, acronimo di Kreditanstalt fur Wiederaufbau, che vuol dire Istituto di credito per la ricostruzione. Si tratta di una istituzione che ha già operato efficacemente sia dopo la guerra persa dalla Germania per gestire i fondi del piano Marshall, sia dopo la caduta del Muro di Berlino. La Kfw è molto simile alla Cdp, la Cassa depositi e prestiti. Già prima dell’esplosione dell’epidemia, Angela Merkel aveva fatto un piano anti crisi straordinario di oltre 500 miliardi di euro da far arrivare attraverso le banche, garantite al 90% appunto dalla Kfw. Ora la cifra della Germania salirà. Nella logica di Draghi l’Italia deve fare lo stesso, domandandosi esattamente come la Cdp finanzia già adesso e per quanto le imprese, in particolare le pmi. Il punto chiave è l’entità del fabbisogno per salvare le aziende italiane, che non è sicuramente inferiore ai 500 miliardi stanziati inizialmente dalla Merkel. Se lo Stato garantirà Cdp e Cdp garantirà al 90% le banche, le banche italiane potranno senza esitazione iniettare il corrispettivo nelle aziende italiane. Del resto, avviene già lo stesso in Svizzera, dove il Credit Suisse, garantito dallo Stato, finanzia fino a 20 milioni di franchi svizzeri le pmi e per 500 mila frs basta compilare un modulo via internet e in poche ore dalla ricezione dei documenti arriva il denaro. In Francia la banca pubblica BpiFrance finanzia tre mesi di fatturato oppure due anni di monte salariale direttamente alle aziende. È evidente che lo schema tedesco è il più lineare e, a giudizio di Draghi, può essere facilmente replicato in Italia a condizione che Cdp, la cui attività è già parzialmente di questo tipo, venga rafforzata e lo Stato le garantisca i fondi per garantire a sua volta, al 90% le banche. Anche perché Cdp può contare sulla rete capillarissima delle Poste.

Nei giorni scorsi MF-Milano Finanza ha pubblicato due altre proposte, quella di Gianni Tamburi, il miglior investitore italiano, che con l’etichetta Italia Riparti! ha previsto un fabbisogno di 300 miliardi da finanziare in vari modi, e altre misure di politica fiscale e industriale, incluso l’Ires ecc. e che sono descritte all’interno. Il secondo piano lo ha descritto Enzo Manes, a capo del più grande gruppo europeo del rame. Ha scelto per il fondo da lui prospettato un nome simpatico, Ghiro fund, dall’animale che sta a lungo in letargo. Un fondo da 150 miliardi per finanziare il fatturato di almeno due-tre mesi del sistema Italia.
È evidente che le due proposte possono diventare anche dei derivati del piano generale previsto da Draghi. Il fatto fondamentale è il giudizio dell’ex presidente della Bce che non bisogna temere la possibilità per l’Italia di finanziarsi, emettendo anche titoli a 30 anni che la Bce sottoscriverà.
Però ci vuole coraggio e velocità. Le speranze sono concentrate sul ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, che ha competenza e determinazione. Ma da ex presidente della commissione finanze del Parlamento europeo, deve liberarsi di una inevitabile conformità al clima di Strasburgo e Bruxelles, dove l’idea di non far debito era un mantra assoluto. Ma oggi è guerra e se Draghi, che ha maneggiato la crisi finanziaria dei derivati del 2008, certamente meno grave dell’attuale, dice di andare giù pesante, non si vede perché il governo dovrebbe indugiare. Ogni giorno che passa, il prezzo diventa più alto e il rischio che le aziende non siano recuperabili cresce.
L’occasione propizia per varare un piano da minimo 300 miliardi, ma meglio 500, è il decreto in preparazione per difendere i campioni italiani. Bene, che il governo consideri l’Italia come un campione da difendere.