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 2020  marzo 28 Sabato calendario

Spagna verso la disoccupazione di massa

Sono i giorni più bui per la Spagna che cerca di frenare il coronavirus. Ieri sono morte quasi 800 persone e il contagio continua ad allargarsi velocemente. Il piano di «emergenza sanitaria ed economica» del governo di Pedro Sanchez avrà bisogno di tempo per dare risultati. Ma il Covid-19 sta travolgendo il sistema sanitario nazionale. E passata la pandemia – quando finalmente gli ospedali si svuoteranno e si tornerà nelle strade – saranno gravissime le conseguenze, sulla società e sull’economia del Paese.
La chiusura forzata delle attività produttive è destinata a ridurre pesantemente la crescita del Pil per almeno tre trimestri, ma – quel che è peggio – potrebbe tagliare fino a due milioni di posti di lavoro. «A meno che il governo e l’Europa non facciano qualcosa per sostenere le imprese e le famiglie», dice Nuno Fernandes, economista della Iese Business School.
«Questa è una crisi diversa da tutte quelle che abbiamo conosciuto, anche le stime basate sull’esperienza della Sars ci aiutano poco. Quello che sappiamo di sicuro – avverte Fernandes – è che la recessione globale è inevitabile. E che Paesi come la Spagna, così come la Grecia e il Portogallo, saranno colpiti in modo più grave, perché le loro economie dipendono in larga parte dalle esportazioni e dal turismo». Secondo Fernandes, «se il blocco dell’attività economica causato dalla pandemia dovesse durare solo fino a fine aprile, il Pil spagnolo perderebbe nel 2020 circa 3,9 punti di Pil e il Paese entrerebbe in recessione, ma ogni mese in più di interruzione costerebbe quasi due punti di Pil».
E per la Spagna – senza misure di emergenza – la recessione è destinata a trasformarsi, quasi in modo automatico, in un calo immediato e verticale dell’occupazione. La Spagna rivive l’incubo della grande crisi del mattone e delle cajas (ma anche dell’Eurozona), quando il tracollo del sistema finanziario si trasferì all’economia reale portando, era il 2013, il tasso di disoccupazione fino al 27% e lasciando senza lavoro oltre sei milioni gli spagnoli. È come se il mercato del lavoro spagnolo mettesse assieme la flessibilità (soprattutto in uscita) del modello americano con i vincoli e le disparità che si osservano in Italia (tra contratti protetti e precari).
La diffusione del coronavirus ha già costretto le imprese spagnole a sospendere dal lavoro quasi due milioni di dipendenti. I dati del ministero sulle richieste di accesso alla cassa integrazione, incrociati con le segnalazioni che arrivano dalle regioni autonome, segnalano situazioni gravissime nelle aree industriali della Catalogna e nelle zone costiere legate al turismo come Murcia, le Isole Baleari e le Isole Canarie. È stata interrotta la produzione in tutti gli stabilimenti dei grandi gruppi presenti nel Paese. Il colosso del tessile Inditex, dopo aver dovuto chiudere i negozi in tutto il mondo (tranne che in Cina dove stanno, a poco a poco, riaprendo), ha previsto un «licenziamento temporaneo» per 25mila addetti, se lo stato di emergenza si dovesse protrarre oltre la metà di aprile, come è ormai chiaro.
«L’economia, se lo shutdown durerà a lungo, potrebbe perdere fino a due milioni di lavoratori e il tasso di disoccupazione potrebbe anche arrivare vicino al 20%, dall’attuale 13,8 per cento», spiega Juan Carlos Higueras, della Eae Business School. Mano pessimista l’analisi di S&P’s che prevede per l’anno prossimo «un tasso di disoccupazione in aumento al 15,6%», ma che sottolinea come l’effetto negativo sia di non breve durata, con una «successiva riduzione molto graduale dei senza lavoro che non scenderanno sotto al 15% per almeno due anni».
Sanchez ha annunciato un piano di sostegno all’economia «che mobiliterà 200 miliardi di euro» e ieri, per sostenere i livelli occupazionali, il Governo ha deciso di vietare, in via straordinaria, i licenziamenti effettuati per cause legate al coronavirus e ha prorogato la durata dei contratti a tempo: «Nessuno può approfittare di questa crisi sanitaria per licenziare», ha detto il ministro del Lavoro, Yolanda Diaz.
Ma Madrid deve prima di tutto affrontare l’emergenza sanitaria, la crescita rapida del contagio e di conseguenza dei morti. La diffusione del virus sta seguendo, con qualche giorno di ritardo, il percorso allarmante già intrapreso dall’Italia: in Spagna sono già morte quasi 5mila persone. I casi complessivi di Covid-19 sono saliti a oltre 64mila. Negli ospedali i reparti di terapia intensiva sono ormai pieni (così come le camere mortuarie), mentre almeno 10mila, tra medici e infermieri, sono stati contagiati.
Per tornare alla normalità, anche la Spagna avrà bisogno di mesi. Poi i segni del passaggio del coronavirus continueranno a vedersi nel tessuto sociale e nell’attività economica: la pandemia allarga le distanze tra le fasce di popolazione più ricche e quelle più povere; e rischia di compromettere, per anni, la capacità produttiva delle imprese. «Il governo deve fare di tutto per garantire la liquidità delle aziende e deve dare aiuto alle persone più in difficoltà. Temo che il nuovo Qe della Banca centrale europea serva a poco e credo che misure come l’helicopter money siano una vera cretinata», spiega ancora Fernandez, tratteggiando un intervento pubblico «alla Mario Draghi»: «Non c’è dubbio che il debito pubblico aumenterà, ma per salvare la capacità produttiva, i livelli occupazionali e in definitiva per mantenere la coesione sociale, non c’è altra strada». Ma a chi toccherà pagare il conto? «Sanchez – conclude Fernandez – ha avviato un piano da 200 miliardi, ma la Spagna da sola non ce la può fare. Senza l’Europa, senza un meccanismo di solidarietà continentale, la Spagna verrebbe travolta dal debito e non potrebbe più rialzarsi».