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 2020  marzo 28 Sabato calendario

Intervista a James Dyson

Dyson ha presentato qualche settimana fa una innovativa piastra per capelli, che li stira ma non li rovina. Si chiama Corrale e costa 399 euro. Ma è un altro il prodotto al quale oggi lavora il fondatore James Dyson, nominato Sir dalla regina Elisabetta per i suoi meriti di inventore: «Da quando ho ricevuto una telefonata da Boris Johnson dieci giorni fa, abbiamo riorientato le risorse per costruire un nuovo ventilatore polmonare, The CoVent, pensato per rispondere alle specifiche esigenze cliniche dei pazienti Covid-19». Il ventilatore polmonare Dyson funziona a batterie, quindi può essere utilizzato in diversi ambienti, e anche durante il trasporto dei malati; il Regno Unito ne ha già ordinati 10 mila per fronteggiare l’emergenza coronavirus, altri andranno all’estero. 
Il CoVent usa lo stesso motore degli aspirapolvere Dyson. È vero che allora, per arrivare al primo modello, realizzò 5127 prototipi?
«La sperimentazione non finisce mai, è il modo in cui si impara, e non è facile far funzionare le cose». 
Ci mise cinque anni, ora bisogna far prima.
«La sfida è progettare e produrre in grandi quantità un prodotto medico nuovo e sofisticato in poco tempo. La scuola insegna a trovare la risposta giusta al primo colpo, ma nella vita non funziona così, ed è ancora peggio in ingegneria: quasi tutto quello che si fa è un fallimento, i risultati positivi sono pochi e lontani tra loro. Si impara dagli errori». 
Nel 2017 ha annunciato il progetto di un’auto elettrica, due anni dopo lo ha abbandonato. Un errore anche quello?
«Era una buona vettura, ma un errore commerciale: non eravamo certi di poter recuperare gli investimenti. Con le auto elettriche nessuno sta guadagnando, perdono tutti quantità enormi di denaro. Uno dei problemi principali è la batteria, non deve essere troppo pesante pur garantendo una buona autonomia». 
Dyson produce piccoli elettrodomestici, ma impiega più programmatori ed esperti di software che ingegneri di hardware: come mai?
«Il software è importante quanto l’hardware e con 6000 ingegneri e scienziati in tutto il mondo lavoriamo anche su sistemi di visione computerizzata, machine learning e intelligenza artificiale. Nel Technology Centre di Singapore sperimentiamo tecnologie connesse, macchine intelligenti e facciamo ricerche su come saranno le case del futuro».
E come saranno?
«Quasi tutti i prodotti che abbiamo in casa possono beneficiare dell’intelligenza artificiale: illuminazione, purificazione, pulizia. Il mio sogno è che tutto funzioni automaticamente secondo le esigenze di ognuno, come la nostra Lightcycle Morph, una lampada che regola in modo intelligente la luce a seconda di cosa sta facendo l’utente, della sua età, dell’umore e dell’ora del giorno».
Ma sono spesso prodotti costosi, e più facili a rompersi…
«Le nostre macchine sfruttano il minimo della tecnologia per fare il massimo possibile, e sono progettate per durare nel tempo. Prendiamo ad esempio la lampada: ha un sistema che sottrae calore ai Led per mantenere la qualità della luce costante nel tempo. E parliamo di 60 anni».
Dyson ne compie fra poco 40: ha davvero iniziato in un garage come le startup della Silicon Valley?
«Alla fine degli Anni 70 ho comprato il miglior aspirapolvere sul mercato, l’Hoover Junior. Col tempo, l’aspirazione diventava sempre meno potente, così ho aperto il sacchetto e ho visto che i pori della carta erano ostruiti dalla polvere. Un difetto fondamentale, ma prezioso per l’industria perché obbligava a comprare continuamente nuovi sacchetti. L’idea del mio aspirapolvere è nata in una segheria, dove la segatura veniva rimossa con grandi cicloni industriali. Nel mio garage ho creato un prototipo di cartone; non aveva un bell’aspetto, ma aspirava più polvere». 
Prima è stato anche designer. 
«Frequentavo l’università, un industriale aveva avuto l’idea di un mezzo da sbarco veloce per l’esercito, e mi chiese di progettarlo. Non sapevo nulla di barche, anche se non osavo dirlo, ma sembrava divertente. Ho costruito un prototipo, gli è piaciuto e mi ha chiesto di venderlo. Non era il mio mestiere ma ero quello che conosceva il prodotto meglio di tutti, così, senza nemmeno il look da uomo d’affari, per 5 anni ho venduto scafi a militari di tutto il mondo, compagnie petrolifere, imprese di costruzioni. E a un contrabbandiere di sigarette americane in Italia: non mi sembrava un reato tanto grave, e quel tipo aveva una giacca di pelle e molti contanti». 
Dyson è un’azienda nota e ammirata. Quali sono le aziende che lei ammira?
«Chiunque introduca nuove tecnologie e sia all’avanguardia. Come Sony negli Anni 80: il Walkman era un prodotto coraggioso, un registratore che non registra. Ma quasi tutto quello che hanno fatto allora era magico e grandioso».
Poi è finita. Come far sì che l’innovazione continui?
«Scommettiamo sul futuro: anche per questo quattro anni fa abbiamo inaugurato il Dyson Institute of Engineering and Technology. Si studia ingegneria e insieme si lavora su progetti concreti. Gli studenti guadagnano anche un buon stipendio e si laureano senza debiti. E un terzo dei partecipanti sono donne».
Cos’è il design?
«Non produrre oggetti belli, ma che funzionano meglio degli altri. Che nascono da una frustrazione e la eliminano: così il design rende migliore la nostra vita».