La Stampa, 28 marzo 2020
I fantasmi di Amelia Rosselli
In vestaglietta leggera la poetessa Amelia Rosselli uscì sul balconcino dell’abitazione in via del Corallo a Roma. Un vicino la scorse in stato confusionale e, preoccupato delle sue intenzioni, la convinse a rientrare. Ma qualche ora dopo, nel primo pomeriggio di quella domenica molto tranquilla, Amelia spinse una sedia sul terrazzino, vi montò sopra, scavalcò la balaustra e morì volando nel cortile sottostante. Era l’11 febbraio 1996. Amelia Rosselli a 66 anni era ancora molto bella, con i capelli a caschetto, la figura slanciata, il volto un po’ gonfio per l’uso degli psicofarmaci e per gli elettroshock.
Oggi, 28 marzo, ricorrono 90 anni dalla nascita della scrittrice che è diventata il simbolo di una lirica profetica e visionaria, ma anche l’immagine dell’opposizione a ogni regime autoritario e totalitario, in quanto erede, con i suoi scritti libertari, della tradizione antifascista del padre e dello zio, Carlo e Nello Rosselli. Adesso, a ricordarla proprio in questa chiave, escono due biografie: Miss Rosselli (Neri Pozza, pp. 240, € 18) di Renzo Paris, poeta e saggista che le fu al fianco come amico fraterno e ne ricostruisce la storia anche seguendone i fantasmi e le visioni, e il bel racconto di Alice Zanotti Tutti gli appuntamenti mancati. Un ritratto immaginario di Amelia Rosselli (prossimamente da Bompiani, pp. 256, € 17). Paris, che si è ritagliato il ruolo di testimone della vita di grandi scrittori come Pier Paolo Pasolini e Alberto Moravia, cugino di Amelia, individua più di un mistero nella complessa esistenza della scrittrice.
Melina, ovvero «piccola mela», come la chiamavano in famiglia, aveva sette anni quando sua madre, l’inglese Marion Cave, convocò i suoi tre bambini e chiese loro se sapevano cosa volesse dire la parola «assassinio». Il padre Carlo, teorico del «socialismo liberale» ispirato al laburismo britannico, era stato assassinato assieme a suo fratello Nello. I Rosselli, spiati e pedinati per giorni, erano stati uccisi a Bagnoles-de-l’Orne, in Francia, da una squadra di miliziani appartenenti alla destra francese, su mandato dei servizi segreti fascisti e di Galeazzo Ciano. Sulla superstite famiglia Rosselli di religione ebraica si abbatté la persecuzione razziale voluta da Benito Mussolini. Dopo aver peregrinato tra Francia, Svizzera e Inghilterra, le vedove di Carlo e di Nello, la nonna Amelia e i bambini partirono da Liverpool per andare a vivere in un sobborgo di New York. Rientrarono in Italia alla fine della guerra.
Quando presero avvio le voci persecutorie che affollavano la mente di Amelia e che gli psichiatri definirono schizofrenia paranoide? In coincidenza con la scomparsa della mamma, a cui Amelia cercherà di rubare l’identità, facendosi chiamare come lei e firmando con il suo nome? Oppure nel 1954, quando morirà lo scrittore Rocco Scotellaro, il «poeta contadino» di cui si era innamorata? Amelia fu sofferente fin da adolescente, tormentata da brusche oscillazioni d’umore, insonnia e scoppi d’ira. A metà degli anni Cinquanta fu ricoverata in una clinica psichiatrica romana e poi in Svizzera per essere curata dal celebre Ludwig Binswanger. Dopo essere uscita dalla casa di cura decise che la sua strada era la ricerca musicale, poi si dedicò alla poesia. Fu la sua salvezza.
Introdotta da Alberto Moravia e da Dacia Maraini nei circoli intellettuali romani, fu scoperta da Pier Paolo Pasolini, che la definì poetessa «cosmopolita» e ammirò la carica spregiudicata e anarchica dei suoi versi. Ebbe molteplici legami sentimentali, quasi sempre con uomini più adulti, sostitutivi della figura paterna, tra i quali lo psichiatra Mario Tobino e il pittore Renato Guttuso. Ma i fantasmi che la tormentavano si riaffacciarono presto: si trattava di personaggi maschili che la spiavano, ed erano agenti della Cia: «Purtroppo in agosto», scrive, «sono riprese le solite vocalità Cia… si tratta dell’identico gruppo di prima». Inseguita dai suoi incubi, cercò protezione nel Pci e nel Psi, si rivolse a Sandro Pertini e ad altri valorosi ex partigiani in grado, secondo lei, di fronteggiare gli spioni americani.
A farla uscire dal suo isolamento e dalle sue ossessioni furono i ragazzi del Sessantotto: Renzo Paris, militante in uno dei tanti gruppi giovanili, la convocò alla libreria Ferro di Cavallo per farle leggere il poemetto Variazioni belliche. Amelia diventò una grande animatrice di festival e di reading poetici e divenne l’icona della protesta studentesca che vide in lei e nella sua poesia la personificazione della memoria storica, dell’antifascismo e il rifiuto di ogni dittatura (negli anni che si aprirono con la strage di piazza Fontana e proseguirono con quella di Brescia si temeva in ogni momento il colpo di Stato e l’eversione nera).
Quando i movimenti giovanili persero il loro slancio, Amelia, nonostante la sua notorietà fosse in gran crescita, avvertì la perdita della socialità e di quel contesto che un tempo l’aveva aiutata a sopravvivere. «In questa mia casa», scrive, «c’è relativo silenzio… Quando l’isolamento è eccessivo esco a fare quattro passi». A farle compagnia erano rimaste le voci di suo padre e di suo zio e lei si abbandonò al gesto estremo.