La Stampa, 28 marzo 2020
Chi siede a capotavola?
Delle mille volte che a sproposito s’è parlato di piano Marshall - pure di un piano Marshall per le periferie, contro le baby gang, in soccorso della fauna selvatica - questa poteva essere quella giusta. Purtroppo nulla si ricorda o nulla si è imparato del progetto di ricostruzione europea alla fine della Seconda guerra mondiale, annunciato da George C. Marshall con un discorso ad Harvard il 5 giugno del 1947. Il segretario di Stato del presidente Harry S. Truman illustrò l’obiettivo di ripristinare la fiducia degli europei nel futuro economico dei loro Paesi e del loro continente. Non era una semplice questione di cuore, invocata ora dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ma anzitutto una questione di testa: se il mondo non torna a normali condizioni economiche, disse Marshall, ne scaturirebbero instabilità politica e guerre, mentre noi dobbiamo favorire un mondo libero e florido. E’ solo in un mondo del genere, concluse, che anche gli Stati Uniti resteranno liberi e floridi. Un discorso gigantesco, e il piano conseguente è la base su cui furono edificati l’Unione europea e l’occidente democratico, al di là del quale c’era la dittatura comunista. A sentire ora le preoccupazioni piccine e nazionalistiche dei membri dell’Unione, e degli stessi Stati Uniti, c’è da avvilirsi. Nessuno è lambito dalla lezione di Marshall, che il destino di ognuno coincide con quello degli altri, e più precisamente che il destino di ogni democrazia dipende dal destino comune delle democrazie. A pensare solo alle proprie tasche, si finirà con l’apparecchiare il capotavola ai satrapi russi e cinesi.