Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  marzo 27 Venerdì calendario

Ospedali focolaio e medici a rischio: l'emergenza Covid-19 in Sardegna

Dalla caccia all’untore arrivato dal Nord alla corsa al controllo individuale, anche a suon di macabri slogan.

Così la Sardegna, l’isola del turismo (ora fuori stagione), si ritrova a fare i conti con l‘emergenza da Covid-19.

Ufficialmente 1 milione e 600 mila abitanti, con un’età media 45 anni, la regione ha un sistema sanitario fragilissimo e sbilanciato, che ha subito uno smantellamento della rete dei piccoli ospedali in favore del privato convenzionato, tra tutti il Mater Olbia finanziato dal Qatar e destinato ora proprio ai contagiati.

FOCOLAI NEGLI OSPEDALI E NELLE CASE DI RIPOSO Un equilibrio delicato difeso, ora, con confini ancora più blindati perché fino al 3 aprile si entra ed esce solo con l’autorizzazione del presidente della Regione. Tutto chiuso per decreto, come nel resto d’Italia, isolamento retroattivo per gli ultimi arrivati, ma non è bastato. Perché, per ora, i focolai veri, di contagio, sono e restano le corsie degli ospedali. Nonché le case di riposo. E le procure sarde sono già al lavoro a Cagliari e Sassari. Diciannove i decessi (al 27 marzo), 492 i positivi di cui almeno 330 nel nord della regione, in un territorio che va da Sassari a Olbia, in gran parte tra i sanitari, appunto. Gli addetti ai lavori stimano siano almeno la metà, anche se per la Regione sono un quarto, il 26%.

Materiale medicale arrivato a Cagliari dalla Cina (Ansa). MEDICI SENZA MASCHERINE E IL DIKTAT DEL SILENZIO È iniziato a Cagliari con il primissimo contagio, poi Nuoro, nell’ospedale San Francesco, un caso da manuale poi miracolosamente disinnescato quando l’esercito era già pronto ad allestire un ospedale da campo. Medici, infermieri e oss contagiati, pazienti poi trasportati nell’ospedale di Tempio, in Gallura. Protocolli non rispettati o assenti, come i dispositivi di sicurezza: così il reparto di Cardiologia del Santissima Annunziata di Sassari è diventato crocevia di destini di pazienti e professionisti (anche di rientro da Milano), chiusi dentro per tre giorni. Per fare i tamponi (a singhiozzo) a ospiti e dipendenti della locale casa di riposo, a gestione comunale, Casa Serena (140 gli anziani, tra cui una vittima e 26 positivi) sono dovuti arrivare i medici militari da Roma. Per i sindacati è «una polveriera».

LEGGI ANCHE: L’emergenza Covid-19 nelle Asl della città metropolitana di Roma

E non è l’unica: succede nelle residenze sanitarie, e in altri centri del Medio Campidano e della Barbagia. Dove la guardia medicainfetta – è passata per più paesi. Le infermiere fanno il bucato con le mascherine riciclate e condividono le foto via chat, altri denunciano di avere «Panni swiffer sulla bocca». Per tutti loro vige il diktat del silenzio imposto dalla Regione alle aziende: chi parla rischia provvedimenti disciplinari. Eppure, senza nome, fioccano i racconti e le interviste. Il piano d’emergenza prevede il reclutamento di 600 sanitari per dare il cambio a chi è in quarantena, per 200 infermieri – però – chiamata a partita Iva. Si fattura per sei mesi, sotto turnazione, e poi chissà.

L’aula del Consiglio regionale sardo (Ansa). GLI SCIVOLONI DELL’ASSESSORE ALLA SANITÀ La Regione guidata dal sardista leghista Christian Solinas è riuscita ad accentrare tutta la comunicazione delle singole aziende sanitarie locali. Ma qualcosa è sfuggito: le esternazioni di un assessore, non uno a caso ma quello alla Sanità, Mario Nieddu, in quota Lega. Sul record di contagi tra i sanitari (in proporzione ai “civili”) in un’intervista a Videolina ha dichiarato che «ci può stare».

LEGGI ANCHE: La crisi post emergenza coronavirus vista dagli imprenditori del Nord

E al primo scivolone il 17 marzo si è aggiunta la citazione di un’azienda, la Tema srl, a cui sarebbero stati commissionati dei test rapidi. Prodotti definiti pochi giorni dopo dallo stesso assessore «poco affidabili». Da lì la reazione della società che ha annunciato azioni penali, e negato di aver ricevuto gli ordini a quella data. E se i medici continuano a denunciare carenze, dalla Regione arrivano assicurazioni sulle dotazioni (450 mila mascherine distribuite dalla Protezione civile) oltre ai doni quotidiani di imprenditori cinesi. Per il futuro, però, si punta sull‘high tech: tamponi per tutti, stile Veneto e Corea del Sud, app per tracciare gli spostamenti e sperimentali braccialetti- saturimetri da assegnare agli asintomatici in isolamento.

La comunicazione voluta dal sindaco di Cagliari è stata duramente contestata. I MANIFESTI CHOC A CAGLIARI E IL TAM TAM SOCIAL DEI SINDACI Il tam tam dei sindaci (anche di micro comuni) riuniti nell’Anci Sardegna ha spinto verso la chiusura dell’Isola. Parole di apprensione, da Pula a San Teodoro, di fronte agli arrivi, specie nei comuni costieri, nei primi giorni dell’emergenza. Sono gli stessi primi cittadini a comunicare la presenza di positivi su Facebook, spesso denunciano senza alcun coordinamento regionale. Ed è quindi caccia alle uscite inutili, seppur in solitaria o con il cane come lasciapassare. Fino all’ultima mossa del sindaco di Cagliari, Paolo Truzzu (Fdi) che a inizio marzo aveva assicurato: «La città è aperta».

La campagna di comunicazione ha dato il via a una controcampagna sui social. Sui muri urbani sono apparsi tre diversi messaggi istituzionali su cartelloni 6 metri per 3. «Quando hanno portato mia madre in ospedale ho capito che dovevo rinunciare alla corsa», e ancora «Quando hanno intubato mio padre ho pensato a quella passeggiata che non dovevo fare». Un registro colpevolizzante contestato dall’opposizione di centrosinistra e diventato nel giro di poche ore bersaglio dei meme.

I cartelloni apparsi a Cagliari voluti dall’amministrazione. Fondo bianco, caratteri cubitali rossi e neri come gli originali – al punto da essere facilmente confusi – hanno creato una controcampagna social, una rivolta collettiva. Tra tutti, questo: «Quando mi hanno portato in ospedale, non pensavo che mi sarei ammalato proprio lì», una sardonica – e amara – verità.