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 2020  marzo 27 Venerdì calendario

Ristampato “I baffi” di Emmanuel Carrère

Esiste la realtà? E cos’è? Ma, soprattutto, quanto conta davvero? Più o meno della percezione che ne abbiamo? Più o meno della nostra immaginazione? Siamo svegli, sogniamo, oppure sogniamo di essere svegli? Chi, tra mente e realtà, condiziona l’altro? E dov’è la verità? Nelle 149 pagine di questo imperdibile I baffi – scritte in soli (anche se decisamente ispirati) trentacinque giorni e riproposte da Adelphi nella nuova, avvincente, traduzione di Maurizia Balmelli – Emmanuel Carrère non pone mai queste domande. Non esplicitamente. Non c’è un solo istante, però, nel quale non ci si senta incalzati dal loro incessante tamburellare sul lucernario della coscienza. Una riga dopo l’altra, ci ritroviamo tra le spire di un’angoscia che non lascia scampo. Senza nome, come il protagonista del romanzo. Con noi, un unico ammonimento: “Bisognerebbe conservare tutto, sempre, non trascurare alcuna prova”. Servirà?
C’è qualcosa – carta d’identità, fotografie, numeri di telefono, oggetti, souvenir, ricordi – che possa sfuggire alla furia devastatrice del dubbio? Qualcosa o qualcuno che possa garantire della effettività e della stabilità del tutto?
È la storia di un big-bang e dei suoi effetti travolgenti. Un uomo decide di tagliarsi i baffi. Piacerà a sua moglie Agnès, che non l’ha mai visto senza? Niente di devastante. Né di irrimediabile. In fondo, può farseli ricrescere quando vuole. Eppure. Comincia come un gioco, uno scherzo senza importanza: “Che ne diresti se mi tagliassi i baffi?”; “Sarebbe una buona idea”. All’improvviso, però, tutto precipita. Nessuno – moglie, amici, colleghi di lavoro – ricorda di aver mai visto quei baffi. “Sai bene che non hai mai avuto i baffi. Smettila”, sbotta Agnès. Altro che gioco: è una macchinazione; una congiura. Non vogliono farlo passare per pazzo: vogliono renderlo pazzo. La congiura presto diventa allucinazione, incubo, ossessione. Follia. Già: ma chi è folle? Lui o lei? Impossibile stabilirlo. “Un andirivieni tra due ipotesi (…) che non portava da nessuna parte, se non dall’una all’altra, dall’altra all’una”. L’uomo si ritrova nel labirinto senza uscite di una realtà opprimente: “Le pareti di una stanza che si avvicinano fino a imprigionarne l’occupante, maciullandolo nella loro morsa”. Pirandello e Kafka, ma anche Philip Dick ed Edgar Allan Poe. Nell’ordine del mondo si è verificato un guasto “che era sfuggito all’attenzione di tutti tranne che alla sua”, e questo lo mette “nella posizione dell’unico testimone, che in quanto tale va abbattuto”. Scomparire non è un capriccio ma un “obbligo vitale”. Voltare pagina e ripartire da zero. L’uomo vola a Hong Kong, dove la salvezza ha le sembianze di un ferry che fa la spola tra città e isola. Il traghetto lo conquista, perché offre “un contesto alle sue oscillazioni pendolari”. L’andirivieni della sua mente e quello del ferry si annullano algebricamente. Pace. Durerà? Una sera, uno sconosciuto convince l’uomo a salire sul battello per Macao. Scenderà al “Bela Vista” e comincerà a cullarsi in un dolce far niente, ascoltando ricrescere i baffi. Un pomeriggio, però, di ritorno dalla spiaggia: “The lady is upstairs”, gli sorride il receptionist cinese. E un “brivido freddo” gli percorre la “schiena bruciata”.