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 2020  marzo 27 Venerdì calendario

Andrea Vitali è tornato a fare il dottore

«Gli eroi sono altri. Gli infermieri con i volti scavati e i segni della mascherina. I medici che vivono in trincea. I volontari che continuano a prestare la loro opera, chi non può fermarsi perché deve garantire cibo e farmaci. Io ho solo risposto a una chiamata: non me la sono sentita in un momento come questo di voltare la faccia da un’altra parte». 
Andrea Vitali, uno degli autori più prolifici e più letti del panorama italiano, in questi giorni ha messo in un cassetto la penna (più realisticamente chiuso lo schermo del computer) e rispolverato la vecchia valigetta da dottore. «È marrone con tutti gli attrezzi del mestiere a cui ho aggiunto guanti e le protezioni del caso». Medico di base per quasi trent’anni, nel 2013 aveva lasciato la professione per dedicarsi solo ai libri. Quando lo raggiungiamo al telefono si è appena sfilato il camice dopo una visita a domicilio a un paziente. «Una semplice lombosciatalgia. Vede? Non sono un eroe», prova a scherzare mentre rientra nell’appartamento con la finestra vista lago. 
Bellano è la sua casa, piccolo borgo lecchese stretto tra montagne e acqua, culla di tutti i suoi personaggi, paese dove è tornato a fare il medico condotto per dare il suo contributo nella lotta al virus. 
Dunque ha risposto a una chiamata? 
«Ma sì, un collega mi ha cercato perché aveva curato un anziano risultato positivo e doveva mettersi in quarantena. Mi ha chiesto di sostituirlo in ambulatorio e io ho subito accettato. In realtà si è trattato di pochi giorni, ma poi sono iniziate ad arrivare le telefonate: vecchi pazienti, amici, conoscenti. Sapevano che ero tornato in servizio e si sono rivolti a me. Consigli telefonici e almeno un paio di visite a domicilio al giorno». 
Com’è rimettersi il camice? 
«Abbastanza semplice. Ho 64 anni, ma non sono ancora così arrugginito. Ho un’esperienza trentennale sul campo ed è stato bello in questo momento far fruttare gli studi di medicina. A Bellano mi conoscono tutti, quindi quando mi hanno visto in ambulatorio nessuno si è stupito. Se servisse presterei la mia opera anche in ospedale, ma credo che cerchino figure diverse». 
Cosa la spaventa in questo momento?  
«La sofferenza degli altri, ma non ho paura. Ho visitato pazienti con sintomi compatibili con il virus, cercando però di mantenere la consueta pacatezza. Perché se hai paura la persona che hai di fronte lo sente, avverte il terrore nello sguardo, nelle mani, si spaventa, non trova la forza di reagire. Come il Carletto (nome rigorosamente di fantasia, gliel’ho detto qui si conoscono tutti), che ha fatto la guerra e mi ha cercato in preda al panico perché aveva la febbre. L’ho tranquillizzato prima che curato». 
Se dovesse paragonare un suo racconto alla situazione che stiamo vivendo? 
«Senza dubbio “Documenti, prego”, un romanzo dove il sentimento prevalente è quello dell’ansia legata alla difficoltà di percepire se quello che si sta vivendo sia sogno o realtà, interamente giocato su un sottile filo onirico. Esattamente come mi sento in questo momento. Ti svegli al mattino, guardi il lago, fai per scendere le scale e poi rammenti che non è possibile. Il paese svuotato, la gente chiusa in casa, gli amici di sempre strappati via da un mostro senza cuore. Tutto sembra così irreale. E poi il silenzio, sottile, profondo, disarmante, quasi da diventare una presenza che si tocca». 
Ha smesso di scrivere in questi giorni? 
«In realtà no. Sto lavorando su una storia che uscirà insieme a quelle di altri colleghi in un e-book dal titolo “Andrà tutto bene”. Un piccolo contributo per ridare fiducia a chi la sta perdendo. Il libro sarà disponibile in formato digitale dal 6 aprile e i proventi verranno destinati all’ospedale di Bergamo». 
Quale sarà il finale di questa storia? 
«Non posso che scegliere un finale aperto. Ci sono ancora troppe risposte da dare e la realtà ha superato anche le più terribili fantasie. Del resto è il personaggio che ho inventato, il maresciallo Ernesto Maccadò, a trovare la soluzione di tutti i misteri. Io mi limito a fare il medico e cerco di rendermi utile».