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 2020  marzo 26 Giovedì calendario

Il contagio che cancella le folle

Al calendario di Google, nessun ha detto che il coronavirus sta devastando il mondo. Con stolida efficacia, lunedì mattina l’assistente digitale mi ha informato che era venuto il momento di comprare i biglietti per Chelsea-Norwich del 2 aprile.
Ma il Chelsea non affronterà il Norwich il 2 aprile. Non si sa quando il Chelsea affronterà il Norwich.
Quello che sappiamo è che nessuno andrà allo stadio per un po’. O a teatro, al cinema e nemmeno a cena fuori. Il Covid-19 ha cancellato le folle. Dove prima c’erano 40mila tifosi assatanati, ristoranti con i tavoli appiccicati e treni della metropolitana pieni zeppi, ora c’è solo spazio vuoto. E silenzio. 
Il virus ha zittito persino la borsa di New York, che di solito è una Babele di compra e vendita, tra urla stressate di broker rubizzi e parole veloci dei reporter della televisione. Da questa settimana, il "pit", la "fossa" dove gli investitori vincono e perdono miliardi di dollari al giorno, è stato interamente rimpiazzato dai computer per la prima volta in oltre un secolo di storia.
Il virus uccide molti e priva tutti gli altri di uno degli ingredienti necessari della vita umana: la vicinanza sociale. Una teoria, sussurrata da uno psicologo con cui ho parlato, è che l’Italia sia stata colpita così massicciamente dal Covid-19 perché la nostra popolazione è più socievole di altre. L’umanità degli italiani come un’ingiusta, sanguinosa Spada di Damocle sul nostro Paese.
La realtà è che oggi, uno su cinque dei cittadini del mondo è in isolamento. Chi ha studiato questi fenomeni è molto preoccupato. L’alienazione sociale, se prolungata, ha lo stesso effetto sul corpo umano di fumare 15 sigarette al giorno, secondo quanto detto da Sue Varma di New York University alla rivista New Yorker. 
I neuroscienziati dicono che l’isolamento va contro il naturale funzionamento del cervello, che è abituato a risolvere problemi con l’aiuto, o quantomeno l’input, di altri. 
Ho visto esempi nel mondo che seguo, quello della finanza. Parlando con banchieri, operatori e gestori di fondo, una lamentela pressoché unanime è la mancanza di opportunità per scambiare idee. 
I signori e signore del denaro disperano perché la tecnologia, per quanto avanzata, non è capace di replicare la concisa efficacia di due parole vicino alla macchinetta del caffè, di un incontro casuale nell’ascensore o di un robusto "brain storming" tra colleghi.
"Non so cosa darei per una strillata del mio capo adesso", mi ha detto un banchiere di Londra dopo che era a casa da solo quattro giorni.
L’esplosione di incontri "virtuali" – dai cocktail "quarantini" ai video-eventi invece delle conferenze, alle lezioni di yoga in streaming – è la prova che abbiamo tutti un bisogno sfrenato di compagnia.
E per quanto non sia piacevole respirare nelle ascelle del prossimo sulla Tube di Londra, o stare fianco-a-fianco con un paio di aspiranti holligan sugli spalti di Wembley, quando non è più possibile ci manca. "Sono passate due settimane dal mio ultimo abbraccio", ha scritto, quasi fosse un messaggio nella bottiglia, Andrew Sullivan sul New York Magazine. 
Ma in mezzo a parole e gesti disperati c’è un paradosso della speranza: il virus si sconfigge solo insieme. E’ vero sia dal punto di vista medico – la famosa "immunità di gregge" – che da quello psicologico. 
L’unione collettiva della folla fa la forza, anche a distanza. Nemmeno il virus la può cancellare. Aveva ragione il calendario di Google a spingermi a guardare fuori dall’isolamento.