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 2020  marzo 25 Mercoledì calendario

Liliana Segre ha paura di morire da sola

Ogni tanto esce di casa, con la mascherina, seguita a distanza dalla scorta. Va a piedi in farmacia, o a fare una piccola spesa, visto che ha vietato ai tre figli e ai tre nipoti di andare a trovarla. Fa il giro dell’isolato per comprare lo stretto indispendabile, entra nel negozio e torna nel suo palazzo dall’antica facciata. Ma Liliana Segre in questi giorni, come tutti, è molto triste e preoccupata, anche se la sua famiglia cerca di starle accanto telefonandole più volte al giorno. Anche i giornalisti chiamano la senatrice a vita, vorrebbero intervistarla. Ma lei si ritrae cortesemente. «Che cosa mai potrei dire io che sono una donna anziana? Solo banalità, in una situazione del genere», ripete a tutti quanti. Quache giorno fa ci aveva detto al telefono: «Bisogna avere coraggio». Ora più nemmeno quello. Anche Liliana Segre, sopravvissuta alla Shoah, lei che nella sua vita ha sempre avuto il ruolo della testimone e della resistente, vive male questa reclusione forzata, di cui non si vede la fine. «La grande paura è morire da soli», ha detto la senatrice a vita, nel corso di una conversazione privata pubblicata da Pagine ebraiche24, il quotidiano online dell’Ucei, l’Unione delle comunità ebraiche. Ieri pomeriggio quando l’ha vista uscire in agenzia ha chiamato il figlio Luciano Belli Paci, avvocato, che la aiuta anche a tenere le relazioni con tutti quelli che vorrebbero parlarle e intervistarla. «Era stupita di vedere sule agenzie di stampa quelle parole scambiate in privato», dice Belli Paci. Ogni giorno lui e i suoi fratelli chiamano quella madre diventata esempio di resilienza per tutto il Paese e commentano ciò che succede, sapendo che è ancora troppo presto per sperare che l’emergenza rientri. Liliana, che il 10 settembre compirà 90 anni, attende, nel suo bel salotto antico, con le foto dei nipoti e quella frase incorniciata di uno di loro: «Nonna tu sei il mare e io sono l’onda».
«Sono abbastanza sbalordita da quello che succede – ha detto la senatrice a vita al giornale dell’Ucei -. E la verità è che non c’è niente da dire. Forse in troppi parlano e dicono troppo», sottolinea. «È come il diluvio universale. Ho proibito a figli e nipoti di avvicinarsi e sono molto accorta», racconta dalla sua quarantena milanese. «Non posso dirle quello che vorrebbe sentirsi dire: che mi sono buttata nella lettura, che approfitto di queste giornate, come ho letto fanno in molti, per mettere in ordine la casa, per ritrovare fotografie. Siccome lo faccio da tutta la vita, di ritrovare fotografie, di frugare nei cassetti della memoria, io ora non lo faccio. Adesso non faccio nulla, sono di una pigrizia spaventosa». Aggiunge Segre: «Dormo; faccio le parole crociate, fantastiche perché non pongono il vero problema ma problemi più stupidi; e telefono. Mi telefonano in tanti, autorità e amici che da trent’anni non sentivo per sapere, come ha fatto lei, se sono ancora viva».
Dall’inizio dell’epidemia, ha dovuto sospendere gli appuntamenti pubblici che aveva in agenda. Il 9 marzo doveva andare al Comune di Firenze per avere la cittadinanza onoraria, il 6 aprile era previsto un viaggio a Reggio Emilia per ricevere un dottorato in comunicazione e anche lì, in Comune, la cittadinanza onoraria. Il 10 giugno ad Arezzo c’era l’incontro organizzato dall’associazione “La Rondine” con 16 mila studenti in uno stadio. Tutto rimandato. Liliana vede dalla sua finestra la strada vuota e si domanda quando finirà questa epidemia. «Parlo con persone della mia età, ci trasmettiamo le nostre consapevolezze. E devo dire la verità, a tutti la cosa che fa più paura è di morire da soli. Io ho già visto quelli che morivano da soli, ma non credevo di essere ora anch’io in prima linea. È un grosso distacco, inimmaginabile».