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 2020  marzo 25 Mercoledì calendario

Come affrontare la nuova povertà del pallone

La nuova povertà del calcio e le conseguenze sul mercato non sono un problema che possa risolvere l’Italia da sola. Conta pochissimo che Federcalcio, Lega e Associazione calciatori si riuniscano. Nessuno di loro rappresenta davvero i calciatori, cioè quelli che devono accettare il taglio. Quindi non esiste tavolo. Esistono società che stanno perdendo oltre 700 milioni di euro per l’inattività e hanno fretta di intervenire. Ma non sono aziende che danno lavoro con contratti a tempo indeterminato. Il loro legame con i calciatori è a tempo. Non hanno potere di intervento su cose che sono nel contratto. In serie A ci sono circa 500 professionisti, i loro ingaggi passano dai 100 mila euro dei giovani e degli scarsi ai 31 milioni a stagione di Cristiano Ronaldo. Ognuno è garantito da contratti personali diversi l’uno dall’altro. Non sono lavoratori dipendenti, sono professionisti autonomi che in pratica prestano un servizio. È possibile accettino di rivedere la posizione con il club perché anche loro capiscono che è in ginocchio il lavoro, hanno fretta di riavere certezze. Un club può essere costretto a interrompere i pagamenti da un giorno all’altro. Fino a ora i giocatori sono stati garantiti dalla liberatoria di fine anno in cui confermano di essere stati pagati, pena la non iscrizione al campionato della società insolvente. Ma questa sì che è una deroga interna su cui basta mettersi d’accordo fra Lega e Federcalcio. Potrebbe cioè venire meno la «necessità» dei club di pagare il calciatore per questo fine stagione eccezionale. E lì si entrerebbe in un far west. Non c’è dubbio quindi che anche i calciatori abbiano voglia di essere responsabili nella trattativa. Ma così com’è non c’è una trattativa possibile. Il popolo dei calciatori è vasto e complesso. Difficile chiedere lo stesso taglio per tutti, da Lukaku a Petriccione. Ma anche a Ronaldo e Bonucci. Un’idea potrebbe essere quella di fare tagli per zone d’ingaggio, una specie di scala fiscale. Più basso è l’ingaggio, meno forte è il taglio. Più in alto si va e più si interviene. Ma temo ci vorrebbe l’esercito. L’anomalia classica del calcio, avere liberi professionisti e trattarli come dipendenti a tempo indeterminato a cui si pagano tasse e previdenze, fa sì che non esista una categoria reale. Esiste poco anche la categoria dei presidenti. Sono troppo diversi gli interessi. Ognuno ha il suo. È per questo che la Lega è sempre un mare ingovernabile. Questo causa un serio problema sul mercato. Le valutazioni dei giocatori si abbasseranno, ma quanto, dove e fino a quando? È questo che rende internazionale il problema e inutile parlarne solo fra noi. Svaluterà anche l’Inghilterra? Svaluteranno Spagna e Germania? Se qualcuno resiste, se qualcuno verrà meno toccato dal virus e riuscisse a rimanere in piedi, potremmo perdere molti giocatori importanti. Comunque vada, il problema è comune e deve portare a parametri comuni. Il tetto agli ingaggi, la qualità dei tagli, devono essere concordati a livello europeo. Altrimenti non avranno effetti. E ogni società sarebbe sottoposta al ricatto dell’altra. I singoli giocatori salterebbero il taglio semplicemente cambiando squadra. E nessuno potrebbe impedirglielo visto che si è cambiato il loro contratto. Come minimo ci riempiremmo di cause che durerebbero anni. È molto difficile anche pensare che la svalutazione degli ingaggi possa fermarsi solo a questo finale di stagione. In tutta Europa i presidenti sono imprenditori che in questo momento producono poco e vendono meno. Molti hanno le aziende chiuse. Quando il virus se ne sarà andato, sarà più difficile pensare a investire nel calcio. Saranno quelli i veri momenti di svalutazione. Infatti una trattativa già conclusa come quella della Roma con Friedkin si è bloccata per nuove valutazioni. Ridimensionare valutazioni e ingaggi, dovunque, non sarà un’eccezione. Sarà un cambio di costume. E andrà gestito con l’Europa.