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 2020  marzo 25 Mercoledì calendario

Sileri è guarito dal coronavirus. Intervista

Il glicine è fiorito, viceministro Sileri.
«Lo piantai in balcone cinque anni fa, da allora si può dire che ha dormito. Quest’anno invece è esploso, proprio durante la mia quarantena, ci saranno 300 fiori adesso sulla pianta, è bellissimo, solo che io non sento il profumo. Non sento niente. Né odori né sapori. Anche con il caffè, è uguale. È l’ultimo regalo del virus. Speriamo che passi...». Il senatore M5S Pierpaolo Sileri, 47 anni, romano, viceministro della Salute, medico chirurgo di professione, era risultato positivo al coronavirus il 13 marzo scorso. 
Però lei ora è guarito, ce l’ha fatta. Ha avuto paura?
«Sì l’ho avuta. La notizia del tampone positivo mi arrivò la mattina del 13 marzo, il giorno dopo a Bergamo morì un operatore del 118, un mio coetaneo. Ma ero preoccupato più per la mia famiglia. Avevo paura di lasciare sola Giada, mia moglie. Quando la febbre è salita e la saturazione è scesa a 89 ho pensato che morire era diventata davvero una possibilità concreta. E così ho pensato a mio padre che morì giovane a 45 anni e a mio figlio Ludovico che ha 8 mesi, ho pensato all’ingiustizia che avrebbe vissuto anche lui crescendo senza padre come me».
Ma è andata bene. Ha ricevuto tanti messaggi, tanta solidarietà.
«Tantissima. E mi ha riempito il cuore di gioia. Mi hanno detto che in ufficio sarebbe arrivato anche un biglietto di Niccolò (il diciassettenne di Grado che Sileri a febbraio andò a prendere a Wuhan, ndr), di cui conservo un ricordo indelebile. Mi avrebbe scritto per ringraziarmi di un libro che gli donai appena tornati insieme dalla Cina. Purtroppo il biglietto non l’ho ancora letto. Sarà una delle prime cose che farò appena tornato al ministero».
Quando ci torna?
«Sto aspettando il nulla osta del medico della Asl Roma 3, io sono pronto». 
Ce l’ha un desiderio immediato da realizzare?
«Ce l’ho. Ho letto del protocollo di Pavia: dal sangue dei guariti di coronavirus gli scienziati del San Matteo puntano a estrarre gli anticorpi. Ecco, vorrei andare là a donare il mio sangue per aiutare chi oggi ne ha bisogno».
Il film della sua malattia.
«Mercoledì 11 marzo accuso bruciore agli occhi, raffreddore e febbre, subito decido di autoisolarmi, io in camera da letto, mia moglie e il bambino nelle altre stanze. Giovedì 12 la febbre sale e chiedo di fare il tampone. Venerdì 13 faccio il tampone e ho la notizia. Comincia il weekend più duro: febbre alta e saturazione che scende fino a 89, valore bassissimo rispetto ai 98 che è la norma. Non riuscivo neanche più a prendere il termometro sul comodino per la poca forza che avevo. Così, l’infettivologo decide per la Tac, ma martedì 17 i valori dell’ossigenazione risalgono a 95 e mercoledì 18 la febbre sparisce. Domenica 22 e lunedì 23 faccio i nuovi tamponi. E martedì 24 alle 8.30 arriva il risultato: anche il secondo è negativo, così finalmente apro la porta della camera da letto e vado da Giada e Ludovico. Per abbracciarli, però, aspetto ancora il nulla osta del medico».
La fede l’ha aiutata?
«Beh io credo in Dio, questo è noto, ma pregavo già prima del coronavirus! E in questa guerra che stiamo combattendo anche la Chiesa è in campo: sono morti medici, infermieri e tanti cappellani, anche loro in prima linea tra i malati».
Lei ha capito come ha fatto a contagiarsi? 
«Forse il 2 marzo, forse in aeroporto, quando salii a Milano a visitare gli ospedali, andai anche al Sacco. Di sicuro, non ho preso il Covid negli studi televisivi: nessuno dei conduttori si è contagiato».
Come ha passato i giorni di clausura?
«Mah, ho sentito quasi tutti i giorni il premier Conte, Di Maio e tanti altri, anche dell’opposizione, che mi hanno fatto arrivare il loro affetto».
Il momento più bello?
«Quando una sera ho sentito una musica da fuori, io abito vicino al Gazometro e dal palazzo di fronte delle persone affacciate cantavano la famosa canzone di Toto Cutugno l’Italiano. Così mi sono affacciato e avrei cantato anch’io ma non avevo voce. Poi, però, quella canzone me la sono scaricata sullo smartphone e ogni sera me la sentivo, prima di addormentarmi. Toto Cutugno mi ha fatto compagnia».