il Fatto Quotidiano, 24 marzo 2020
Infermieri a co.co.co. pagati 13 euro l’ora
Quasi 943 casi in più due soli giorni. Tanto che ora gli operatori sanitari infettati dal Covid-19 sono diventati 5.211, il 9% del totale dei contagiati. Mentre si allunga l’elenco dei medici stroncati dal virus, contratto mentre prestavano servizio: 24 (tre giorni fa erano 17). Il drammatico conteggio lo fa, quotidianamente, la Federazione degli ordini dei medici. Ogni giorno annota un nome e un cognome. Gli ultimi della lista sono Rosario Lupo, medico legale a Bergamo, e Giuseppe Fasoli, che faceva il medico di famiglia nel Bresciano: era già in pensione, ma era tornato al lavoro per aiutare i colleghi travolti dall’emergenza.
Ma adesso tra i camici bianchi, nelle corsie degli ospedali così come negli ambulatori, non c’è solo la paura di essere troppo esposti al contagio, privi come sono, spesso, dei dispositivi di protezione individuale – a partire dalle mascherine – e costretti a ingegnarsi con sacchi di plastica per le tute. Ci sono sconforto e indignazione. Perché, denunciano, se sono asintomatici, non viene eseguito loro il tampone che rileva il contagio. Così è previsto il decreto del 9 marzo scorso del premier Conte, stabilendo che non deve interrompere il servizio chi (in assenza di sintomi) ha avuto contatto con un soggetto a rischio o infettato, e che il test debba essere fatto solo a chi sta già manifestando i sintomi sospetti Coronavirus. “Sappiamo che i tamponi sono pochi. Peccato però che ogni tanto esca la notizia di un calciatore o di un politico che è stato sottoposto al test”, dice Giuseppina Onotri, segretaria generale dello Smi, sindacato medici italiani.
Così gli esposti alla magistratura continuano a fioccare. Oggi in Piemonte lo Smi ne depositerà due: uno alla Procura di Torino, uno a quella di Ivrea. In un caso, contro le direzioni generali delle Asl Torino 3 e Torino 5. Nell’altro, contro i vertici dell’azienda sanitaria di Ivrea. Entrambi perché i tamponi non vengono eseguiti e perché mancano mascherine filtranti, camici idrorepellenti, occhiali di protezione.
Ma è anche l’ira degli infermieri a montare. “Esaltati come eroi la mattina e trattati come merce di scarso valore la sera, nei provvedimenti delle istituzioni nazionali e regionali”, scrive Fnopi, federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche. Il decreto “Cura Italia” ha disposto, oltre all’assunzione di 5mila medici, anche quella di 20mila infermieri. Ma non tutte le Regioni, che si stanno muovendo in ordine sparso, hanno attinto alle graduatorie per le assunzioni a tempo indeterminato. Lombardia, Piemonte, Liguria, in parte l’Emilia Romagna, preferiscono contratti precari: incarichi libero professionali, collaborazioni coordinate e continuative. Contratti a tempo, usa e getta.
“Da un lato le Regioni non vogliono aumentare stabilmente la spesa sanitaria, dall’altro lato hanno dei limiti di contenimento”, dice Antonio De Palma, presidente di Nursing Up, sindacato di categoria. “Il governo ha detto di aver liberato risorse, ma non abbiamo visto nessun effetto. E prima del Coronavirus eravamo già in emergenza: mancavano all’appello 52mila infermieri”.
La Lombardia ha puntato sui contratti di collaborazione. Durata: sei mesi, al massimo fino alla fine del 2020. Retribuzione: 30 euro all’ora lordi, con i quali pagare anche tasse e contributi. Il Piemonte propone contratti temporanei, o attraverso agenzie interinali o tramite contratti libero-professionali, con la stessa remunerazione della Lombardia. Poi c’è la Liguria, dove ogni azienda sanitaria procede per conto proprio con incarichi di lavoro autonomo (Asl 3) pagati 19 euro lordi (ma si può scendere fino ai 13 euro). Ancora: ecco l’Emilia-Romagna, spaccata in due. A Piacenza, che è l’area più colpita della regione, arrivano gli incarichi libero-professionali che possono essere revocati in qualsiasi momento. In Romagna, l’Asl preferisce attingere alle graduatorie e puntare sul tempo indeterminato. “È ovvio, assumere significa caricare una spesa fissa sul bilancio”, osserva Francesco Coppolella, segretario piemontese dell’altro sindacato di categoria, Nursind. “Ma di fronte a una Europa che ha sospeso anche il patto di stabilità le Regioni potevano fare molto di più. Il Piemonte, per esempio, che ha rischiato il piano di rientro, ha peccato di sottovalutazione. Solo che adesso siamo di fronte a tanti morti”.