la Repubblica, 24 marzo 2020
I sottomarini dei narcos
«Lo trasformeremo in un museo». Il sindaco Julio César Rivera Cortés mostra il cimitero di scafi corrosi dalla salsedine. Un grande capannone con all’interno i cimeli: bussole, gps, portelloni, le brande, le mappe, le rotte elettroniche da seguire. Ma il pezzo forte saranno loro: i sottomarini. Proprio così: Nautilus artigianali in ferro e acciaio e quelli più moderni in vetroresina. Bestioni anche di 18 metri la prua slanciata e fendente, la torretta verso poppa con il suo periscopio, le prese d’aria per i motori da 350 cavalli con serbatoi che hanno un’autonomia fino a 6mila miglia. Li chiamano i “narcosottomarini” e adesso punteggiano questa radura che si stende alla periferia di San Andrés de Tumaco, piccolo centro del Dipartimento di Nariño, sudovest della Colombia, al confine con l’Ecuador. Un cimitero che scandisce la storia marina dei narcos. Sono stati sequestrati dalla Guardia costiera colombiana che li ha adagiati, come carcasse, su prati e boscaglia. Una battaglia che dura almeno dal 2007 quando si ebbe notizia del primo esemplare della nuova flotta dei re della droga.
I clan che dominano la zona difendono le loro posizioni con le armi. Assoldano centinaia di giovani che trasformano in soldati e sicari. Sono loro a vigilare su un’area immensa che consente il trasporto delle balle di coca dalle pendici delle montagne, dove sorgono le piantagioni di foglie, fino alla costa. Bisogna dominare il territorio. Altri gruppi si sono ben piantati a nord. A Timbiqui, López de Micay e Buenaventura, Dipartimento di Cauca. E ancora più a nord, a Bajo Baudo, nel Chocó. Punteggiano il profilo della Colombia sul Pacifico con porti e approdi.
Nella sterminata letteratura sui narcos erano una leggenda. Le rotte aeree erano ormai appannaggio di Pablo Escobar e del suo Cartello di Medellín che trasferiva tonnellate di polvere bianca in Florida con la sua flotta di bimotori. L’idea dei sottomarini è venuta ai clan della Galizia spagnola, che hanno suggerito ai colombiani di tornare a battere le rotte in mare. Nel 2009 i guardacoste Usa hanno cominciato a intercettare nel Pacifico sottomarini che sembravano giocattoli. Erano i primi esemplari e molti ancora da testare. La maggior parte aveva scarsa autonomia e c’era il rischio costante che affondassero. L’esperimento è fallito. Gli scafi abbandonati a Tumaco sono i testimoni di una stagione che sembrava conclusa ma che in realtà è ripresa in grande stile.
I progetti con gli anni si sono raffinati. Gli ultimi prototipi dei Nautilus dei narcos sono lunghi 22 metri, hanno motori da 2 mila cavalli, 20 mila litri di carburante per coprire fino a 6 mila miglia, stive dove si possono caricare anche 3 tonnellate di coca. Struttura in fibra di carbonio, compartimenti stagni, torretta di controllo, gps elettronici. Navigano due metri sotto il pelo del mare. Non sono economici: costano 2,5 milioni di euro. L’ultimo viaggio è sfumato per un soffio. Il bestione da 20 metri è stato usato per attraversare l’Atlantico non più il Pacifico. Una rotta diversa per ingannare i guardacosteUsa e ar rivare in Europa. Il sottomarino è partito dal Suriname ed è arrivato davanti alle coste spagnole della Galizia. Per i tre giovani aspiranti marinai è stato un inferno. Chiusi nel posto di guida sono stati costretti ad aprire il portellone per far entrare aria sferzati dalle onde. Si è rotto il sistema di ventilazione, il motore ha fatto le bizze, parte del carico è stato invaso dall’olio. Ma hanno resistito alle diverse tempeste incontrate lungo la rotta e sono arrivati a destinazione. Ad attenderli c’era la Guardia civil spagnola. Si sono buttati in acqua e hanno abbandonato il sottomarino che avevano cercato di affondare. Li hanno presi, hanno raccontato la loro incredibile avventura. L’eterna caccia ai narcos è ripresa anche sotto il mare.