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 2020  marzo 24 Martedì calendario

Il problema delle autostrade vuote

Sulle tariffe autostradali si rischia la tempesta perfetta. Il crollo del traffico dovuto all’emergenza coronavirus arriva proprio quando dovrebbe iniziare a sbloccarsi il nuovo sistema tariffario disegnato per tagliare i profitti dei gestori. Non solo: sul nuovo sistema aleggia lo spettro delle ingenti spese (40 miliardi, si stima) per rimettere a posto autostrade ormai degradate anche per omissioni nella manutenzione, come stanno svelando le indagini giudiziarie anch’esse ora rallentate dall’epidemia. Il tutto s’intreccia con la delicata partita della revoca della concessione al maggior gestore, Autostrade per l’Italia (Aspi), per le inadempienze emerse con il crollo del Ponte Morandi.
Il primo momento della verità sarebbe dovuto arrivare la prossima settimana: il 30 marzo scade il termine fissato dal decreto legge milleproroghe (Dl 162/2019, articolo 13) entro il quale le concessionarie il cui piano economico finanziario quinquennale (Pef) è scaduto (la maggior parte) dovranno presentare al ministero delle Infrastrutture (Mit) le loro proposte per adeguarsi ai nuovi criteri tariffari disegnati l’anno scorso dall’Art (Autorità di regolazione dei trasporti). Ma, secondo l’interpretazione del Mit, l’emergenza coronavirus congela il termine del 30 marzo, perché si tratterebbe di un procedimento amministrativo e come tale rientrerebbe nel congelamento previsto dal Dl Cura Italia. Si parla di uno slittamento di 60 giorni, per ora.
Di fatto, il Dl milleproroghe impone ai gestori di trovare un accordo col Mit, deponendo le armi sguainate la scorsa estate (sotto forma di ricorsi al Tar) contro le delibere dell’Art: gli aumenti tariffari 2020 saranno sbloccati solo se entro il 31 luglio si sarà perfezionato l’iter dei nuovi Pef. Cioè se arriverà in porto la trattativa fra il ministero e ciascun gestore. Con l’Art che sarà comunque chiamata a dare un suo parere.
Da sempre un elemento fondamentale dei Pef sono le previsioni di traffico nel quinquennio: indicano quanti saranno gli utenti su cui andrà spalmato il fabbisogno tariffario dovuto ai costi preventivati e spesso in passato il traffico è stato sottostimato per ottenere maggiori rincari, visto che non erano previsti conguagli a consuntivo. Nel sistema Art, invece, è previsto che – a regime – l’extraprofitto conseguente vada a diminuire i costi che al gestore vengono riconosciuti in tariffa. E, soprattutto, il rischio traffico è tutto a carico del gestore: se diminuisce rispetto alle previsioni, il sistema non consente di recuperare il mancato incasso.
La diminuzione del traffico, che è sempre stata una rara eccezione, con la pandemia è diventata la regola: Aspi in queste settimane ha perso il 56% del traffico (con punte dell’80% per i mezzi leggeri), Autobrennero circa il 50%. Nessuno sa dire quando arriverà la ripresa né se sarà piena: limitazioni alla mobilità non si possono escludere anche per un periodo lungo ed è possibile che l’affermazione forzata dello smart working abbatta il numero di pendolari finora costretti ad andare in ufficio in auto.
Tutto questo è accaduto mentre erano in corso le prime schermaglie del confronto Governo-gestori sulla rimessa in sicurezza della rete: da mesi fra gli addetti ai lavori circola una stima di massima secondo cui – tra obblighi europei non rispettati (sicurezza antincendio nelle gallerie), viadotti obsoleti e/o degradati (alcuni dei quali è più conveniente ricostruirli da zero), dissesto idrogeologico del Paese e altre voci minori – occorrono 40 circa miliardi. Una cifra che, a rigore, dovrebbero mettere i gestori: loro è l’obbligo di riconsegnare le autostrade «in buone condizioni» allo Stato, al termine della concessioni. E su questo dovrebbero essere già stati tarati i Pef.
Ma nei fatti ora bisogna mettere in conto più del previsto. Un po’ per la sottovalutazione del dissesto idrogeologico e un po’ perché le condizioni reali delle strutture sono non di rado peggiori di quelle ufficialmente risultanti da controlli su cui le Procure di Genova e Avellino indagano ormai da anni, trovando sempre più sospetti.
Dunque, già da mesi si trattava di capire quanto della spesa necessaria sarebbe andato effettivamente a carico dei gestori e quanto a carico dell’intera collettività (sotto forma di contributi dello Stato) e degli utenti (sotto forma di rincari tariffari). Con l’emergenza coronavirus e il crollo del traffico, i gestori si presentano in difficoltà e rivendicano anche il loro ruolo nella tenuta del sistema degli approvvigionamenti necessari e nella futura ripresa dell’economia, con i loro investimenti. Ma questi ultimi sono subordinati alla bancabilità dei gestori, minata proprio dalla pandemia. Con questa tesi, verranno fatte precise richieste al Governo.
La situazione peggiore è quella di Aspi, i cui 10,6 miliardi di indebitamento sono gravati dal declassamento a junk del rating della società, a causa del rischio di perdita della concessione aumentato dall’articolo 35 del Dl milleproroghe. Tanto che l’approvazione dei bilanci della società e della capogruppo Atlantia era stata già rinviata prima dell’epidemia.
Prima di questa emergenza, Aspi aveva messo sul piatto del Governo 6 miliardi per il 2020-2023, comprensivi di un aumento del 40% delle risorse per la manutenzione e di un anticipo degli investimenti. A condizione che venisse superato l’articolo 35. Ora il virus costringe a rifare i conti. E gli aiuti alle imprese previsti dal Dl Cura Italia potranno essere fruiti anche da Aspi, ma non ne risolleveranno i bilanci.