La Lettura, 22 marzo 2020
Intervista a Lord Michael Dobbs
L’ultima fatica letteraria (arrivata in Italia) di Lord Michael Dobbs, L’eroe riluttante (Fazi) , è la terza puntata della serie dedicata alla spia Harry Jones: ma Lord Dobbs, già capo di gabinetto di Margaret Thatcher, è noto soprattutto per essere l’autore di House of Cards, la saga politica diventata poi la celebre serie televisiva con Kevin Spacey.
Con i romanzi dedicati a Harry Jones – «Il giorno dei Lord» (Fazi, 2018) e «Attacco dalla Cina» (Fazi, 2019) – lei è passato dal thriller politico alle spy story internazionali: come possiamo paragonare i due mondi, nella fiction e nella realtà?
«Quando scrivi una fiction politica, prendi la realtà e la annacqui! Guardiamoci attorno nel mondo di oggi: altro che fiction! Mentre il mondo dello spionaggio internazionale è abbastanza monotono e quindi devi esagerare: James Bond, per esempio, è pura finzione».
Come è cambiata oggi la politica rispetto ai tempi in cui ha scritto «House of Cards», uscito in patria nel 1989?
«Uno dei grandi cambiamenti è stato l’avvento dei social media e del ciclo delle news 24 ore su 24. Quando mai i politici hanno ancora la possibilità di pensare? Tutto è istantaneo, Trump spara tweet a ripetizione. Il premier Harold Mcmillan andava nel giardino di Downing Street a leggere un libro: non era pigrizia, era un modo di radunare i pensieri attorno alle questioni, di trovare una prospettiva. Oggi bisogna essere davvero speciali per riuscire a trovare una prospettiva: sono tutti troppo occupati».
Anche Boris Johnson?
«Boris è uno storico, scorge i movimenti tettonici della storia in un modo che gli altri non vedono. Non lo voglio paragonare a Churchill, anche se c’è chi ci prova: Boris è nuovo a questo incarico, ma se pensiamo a dove eravamo un anno fa e a cosa ha ottenuto, è stupefacente».
Sarebbe un buon personaggio per un thriller politico?
«Oh, sì! Sì! Non si conforma alle norme, è sui generis, vive la vita in un modo diverso. Ha un grande carattere ed è versato con le parole. Infatti, occorrerebbe annacquarlo un po’, per scriverne...».
Dietro le apparenze disordinate Johnson è un politico determinato, forse spietato.
«Deve esserlo se vuole avere successo. La politica non consiste nell’essere gentili e carini: fare politica significa prendere decisioni dure su cose che nessun altro saprebbe gestire. Se tutte le decisioni fossero facili non avremmo bisogno di politici. Margaret Thatcher era una politica dura e spietata che è diventata una dei nostri più grandi primi ministri. Non diventi un grande politico stando seduto davanti al caminetto. Molti grandi politici sono persone con un obiettivo, ossessionate: mentre noi passiamo il tempo con le famiglie, loro stanno lì a pianificare e complottare. E se Boris è abbastanza spietato – no, determinato, e lungimirante – allora potrebbe lasciare un’impronta considerevole nella storia».
In Italia un altro «grande complottatore» è Matteo Renzi.
«Renzi era stato fotografato in una libreria di Roma che comprava una copia di House of Cards. Allora gli ho scritto dicendogli che mi faceva piacere, ma gli ho ricordato che era un libro di intrattenimento, non un manuale di istruzioni...».
E di Trump cosa dice?
«Tanti paragonano l’ascesa di Trump alla Brexit. Sono circostanze diverse, ma dietro c’è lo stesso problema: un establishment che era dentro una bolla – come quello democratico attorno a Hillary Clinton – che non sapeva che cosa succedeva fuori. Ho fatto dei bei soldi con l’elezione di Trump: stavo tenendo delle conferenze in America, durante la campagna elettorale del 2016, quando tutti dicevano che Trump non aveva chance. Ma tornando all’aeroporto il tassista, un nero, mi ha detto che lui e tutti i suoi amici votavano per Trump: questo tassista di colore mi ha fatto una lezione su tutte le persone come lui che in America erano state ignorate. Sono atterrato a Londra e ho chiesto quali fossero le scommesse su Trump: lo davano perdente, ma io ci ho messo su i soldi. Grazie Donald!».
Ci riproviamo? Che cosa prevede per le elezioni americane di quest’anno?
«Stavolta non scommetto, perché tanto vince Trump! Non ha opposizione, i democratici si stanno lacerando. Mentre sappiamo tutto di Trump: che lo amiamo o lo odiamo, almeno lui è chiaro. I democratici non hanno ancora analizzato la loro sconfitta di quattro anni fa».
Biden però può essere pericoloso per Trump.
«È possibile, ma è uno che è entrato e uscito dalla scena in continuazione. Anche se ci sono adesso eventi imprevedibili, come il coronavirus, che possono cambiare la visione della gente, di chi ci si può fidare. Boris su questo punto sta facendo un buon lavoro per spiegare cosa sta veramente succedendo: è un modo molto inglese di affrontare la crisi che finora ha avuto successo».
E la Brexit avrà successo?
«Certamente, perché ci costringerà a farci domande su noi stessi. Se deve avere successo dobbiamo darci una scossa e venire a patti con il XXI secolo e con i suoi cambiamenti. Siamo una delle maggiori economie mondiali, ma la Brexit ci costringerà a diventare molto più imprenditoriali. Dovremo reinventare le nostre relazioni, il che è un bene: prima ci focalizzavamo solo sull’Unione Europea, ma la Ue è in una situazione molto difficile. Non le auguro male, eppure la Ue non è l’Europa, è un’istituzione: e le istituzioni vanno e vengono. Ho sempre pensato che fosse un concetto sviluppato nella seconda metà del XX secolo guardando alla prima metà del XX secolo: ma non è adatta al XXI. L’elettorato britannico ha detto di volere una direzione diversa: la mia speranza è che la nuova direzione sarà accanto all’Europa, ma non all’interno dell’Europa. Come diceva Churchill».
Perché ha scelto di abbandonare il romanzo politico e darsi ai racconti di spionaggio?
«La serie di Harry Jones è una nuova direzione che ho trovato estremamente piacevole e flessibile. Harry va ovunque».
Lo si può paragonare a James Bond?
«In realtà non sappiamo molto di Bond: da dove viene? Solo con Skyfall scopriamo che ha un padre: uno choc. Con Harry Jones sono partito con la creazione di un personaggio differente dal solito e l’ho sviluppato attraverso sei libri. Volevo un protagonista che non fosse un cliché: mentre Francis Urquhart di House of Cards (al quale si ispira il Frank Underwood interpretato da Kevin Spacey, ndr) è il cliché del politico malvagio».
Lei è sempre stato lodato per l’accuratezza delle sue ambientazioni: su cosa si è basato per Harry Jones?
«Sto ancora imparando il mio lavoro: l’ho fatto per oltre trent’anni e credo di stare migliorando. Sono giunto alla conclusione che i libri che scrivo vengono meglio quando sono guidati da un personaggio forte: e Harry Jones ha un carattere avvincente, è diverso dalla solita spia».
Da dove ha avuto l’idea?
«Molti anni fa, prima di diventare membro della Camera dei Lord, ci sono andato in visita. Dietro il trono della regina ho notato una porta stretta e ho domandato cosa fosse: è per la sicurezza? O nasconde un centro di comunicazione? O un tunnel di fuga? Apri e vedi, mi hanno detto: era il ripostiglio delle scope! Ho pensato: è meraviglioso! E mi sono detto: un giorno scriverò un libro su questo, lo userò come la parte centrale dell’intreccio. E così è stato per il primo volume».
Che cosa succederà a Harry Jones?
«Non lo so neppure io, è un work in progress. Questo è il privilegio di essere una persona creativa: sono autorizzato a seguire i miei istinti e il mio cuore».