la Repubblica, 23 marzo 2020
Nel Canal Grande sono tornati i pesci
19 marzo
Notte tiepida, sensuale. L’alba sembra non arrivare mai. Storie di bare accatastate, di colonne di camion militari che se le portano via di notte, di ospedali che per i vecchi hanno solo morfina. Ancora ieri si cantava ai balconi, oggi solo tamburi da marcia funebre. È un rullio sommesso che arriva da lontano, portato dal profumo di violette. Come per il terremoto di Amatrice, con quelle macerie su uno sfondo di nevi immacolate, viviamo una contiguità totale di bellezza e orrore. Giorno dopo giorno, vita e morte si affrontano come due scarmigliate megere. Ma è tutta una finta, perché Demetra e Persefone – la dea delle messi e quella dell’oltretomba – sono due facce della stessa divinità: la Natura. Anche Corona, la regina nera, è natura. In fondo, per seminare e seppellire si fa sempre lo stesso gesto. Si scava un buco nella terra madre.
Ma almeno, quella che ci attanaglia è una paura vera, fondata. Una grande paura che si mangia tutte le piccole paure. Fesserie come perdere i dati del telefonino. Corona mette tutti in riga, ridicolizza le stupidaggini, a partire dalle balle del sovranismo. Viva i confini? Il virus se ne frega. Le autonomie regionali? Hanno creato il caos. Prima gli Italiani? Ora anche gli Africani ci girano al largo. Chiudere i porti? Stavolta li chiudono in faccia a noi. Pericolo islamico? No, cinese. Via gli stranieri? Pare che manchino 370 mila braccia immigrate per far quadrare il Pil agroalimentare. Già, come mai nessuno ne parlava prima? Asparagi, fragole e kiwi marciranno a terra. Ma i rancorosi non si rassegnano alla disfatta, cercano in tutti i modi di ricuperare terreno addossando agli ultimi, stremati migranti, il ruolo di potenziali untori. C’è da giurare che al primo clandestino contagiato (da noi) riprenderanno a berciare. Due settimane è il tempo necessario a sentirsi fuori pericolo rispetto all’ultimo “contatto”. E noi, appunto due settimane fa, il 4 marzo, noi della pattuglia che per la Repubblica aveva ripercorso l’Appia antica, eravamo tutti a Roma per l’annuncio in pompa magna dell’avvio dei lavori di ripristino. Durante quella cerimonia avremo stretto decine di mani. Era impossibile sottrarsi: congratulazioni per il sogno realizzato, abbracci, brindisi, calore italiano, il tutto in una sala strapiena. Non c’era amuchina al mondo che potesse proteggerci. In quello stesso momento il consiglio dei ministri, pochi metri di metri più in là, varava le prime misure di emergenza. E così la percezione del pericolo corso ci è piombata addosso già il giorno dopo, mentre tornavamo a Trieste in un treno deserto. Lì si è capito che il tempo della leggerezza era finito. E oggi, scoprirci ancora sani, è una constatazione che porta poca gioia.
20 marzo
Mi chiama Manault, una scrittrice parigina. Si è messa al sicuro in campagna ma è inferocita con i suoi connazionali che continuano a far finta di niente, con la solita spocchia rispetto agli italiani. «Qui regna la promiscuità più demente, nei negozi e per strada. E se la gente mi vede uscire con la mascherina, manca poco che mi insulti». Laurent, corrispondente di Ouest France da Roma, si sgola da settimane con la sua redazione per spiegare il pericolo, ma vince l’incredulità. Visto dall’Italia, Macron è apparso finora come un pazzo incosciente, a capo di un Paese che si crogiola in un’idea di grandeur applicata agli anticorpi, che alla fine diventa presunzione suicida di invulnerabilità. « Vive la différence », d’accordo, è bello che voi francesi siate diversi da noi, ma il virus se ne frega della vostra diversità.
Sabina dalla Gran Bretagna: «Qui tutto continua col solito insopportabile keep calm and carry on. Sensazione chiara di essere nelle mani di incoscienti. Scuole aperte, concerti confermati. Ma il servizio sanitario è in ginocchio già ora, figurarsi domani». Ah cari inglesi, avete votato Johnson e ora tenetevelo. Non potevate scegliere un momento... migliore per uscire dall’Europa.
Tiro fuori dagli scaffali il libro I sonnambuli di Christopher Clark. Racconta lo stato di confusione mentale con cui i governanti arrivarono a una Grande Guerra che nessuno voleva. Non vedo grande differenza con quelli di oggi. Johnson a Londra manda un popolo intero allo sbaraglio. La Spagna ha fatto movida fino a ieri. La Francia si crede immune. La Svizzera ha lasciato entrare e uscire per settimane duecentomila frontalieri. La Germania, col virus già in Baviera, ne ha parlato solo dopo il carnevale, per non fermare l’economia, poi si è messa a controllare solo quelli che venivano da Italia e Cina. Ora anche la Merkel ha paura.
E così, di fronte all’incoscienza generale, il nostro Paese recupera punti su punti nonostante i suoi storici difetti. Il latino definisce magistralmente deterrima comparatio l’opportunità di brillare per pochezza altrui. E così, da untori eccoci diventati esempio di autodisciplina, solidarietà e tenuta morale. Il tedesco Henning Klüver, freelance con base a Milano, sta postando belle “Lettere della clausura” su di noi, ed Esther, pure tedesca, si dichiara «felice di vivere in Italia proprio in questo momento». Mi arriva un film preso da un’auto che attraversa una Trieste spettrale, deserta. Colonna sonora: The sound of silence. Qui a Nordest tutti hanno capito. Ma anche a Reggio Calabria, che non ha tradizioni asburgiche, la gente riga dritto. Strade vuote, o per paura o per autodisciplina. E i francesi, increduli, commentano: « Impressionnant ».
21 marzo
Sveglia alle tre di notte. Insonnie dell’età. Leggo a letto con lampada frontale per non disturbare. Grande quiete. Forse per la prima volta sento di accettarmi completamente, con le mie magagne e la mia vitalità in declino, e di essere vicino al nocciolo di me stesso. Quanta inattesa umanità nei messaggi ricevuti finora! Molti legami “in sonno” si sono riattivati, a sorpresa, e la domanda «come stai» è uscita dalla sua ripetitività rituale. Riemergono volti antichi e cari e perduti. Sì, noi siamo tutti coloro che abbiamo amato. Esco in terrazza. Aria pulita, freddo secco e buono. Mi chiedo che schifo abbiamo respirato fino ad ora. Senza di noi il mare respira, nel Canal Grande sono tornati i pesci. Stiamo rinsavendo per trauma, non per saggezza, ma va bene lo stesso.
Bastimenti lunari veleggiano. Frigge la padella delle Pleiadi. È primavera. Trieste respira, apre le finestre, stende la biancheria. Dalla terrazza sento voci di bambini e una polifonia di stoviglie filtrare dagli appartamenti. L’equinozio, col segno dell’Ariete, è il tempo dell’Annunciazione e della rinascita, ed è il vero inizio dell’anno per molte religioni. La vita chiama, imperiosamente, come chiamò Ungaretti in trincea con un compagno morto sul fronte del Carso. Scrive Elisa da Genova: «Mi occupo di eventi, dunque per ora sono disoccupata. Eppure sento di avere un’immensa fortuna. Ho un tetto sulla testa e non ho l’angoscia di cosa mangiare il mese prossimo. Sto bene, posso cantare alla finestra, suonare il piano e vedere il mare. So che tanti stanno peggio di me e mi sento una privilegiata. Sento tutte le emozioni amplificate. Voglio bene anche ai sassi».
22 marzo
Ore 5.20, sveglia col mare frustato dalla bora. La Natura è inferocita con noi e la primavera inizia con Baba Jaga, la strega d’inverno. Tutto alla rovescia, anche il sonno. Si dorme poco, perché di notte siamo meno frastornati dai media, e allora i pensieri ci svegliano e si riflette su ciò che conta veramente. Che non è solo la sorte di chi amiamo. Ci si chiede se impareremo la lezione, o se i senza tetto troveranno da dormire, oggi che la carità è passata di moda. E l’Europa, resterà in piedi? Già, l’Europa, eccola riunita solo dalla paura. Ora è il coprifuoco generale. Tutti hanno ballato fino all’ultimo. La Spagna per allegria, i tedeschi per economia, la Francia per grandeur, l’Inghilterra per il cinismo di una classe dirigente di privilegiati. E tutti che brillano per spocchia verso l’Est del Continente. Già, chi se ne frega se Corona devasta i Balcani, la Romania o i Paesi baltici? A rinfrescarmi la memoria ci pensa il letto che alle 6.24 comincia a ballare per il terremoto di Zagabria. Lì il virus ce l’hanno eccome, oltre che una centrale atomica slovena a pochi chilometri, messa da incoscienti su una linea di faglia col rischio di una nuova Chernobyl. Come se non bastasse nevica, fino a Sarajevo. Cristo santo, il primo che si lamenta perché è costretto a stare a casa, lo meno.
È un problema avere amici meravigliosi. Sopravvaluti l’umanità. Ti dimentichi del magma dei rancorosi, delatori, revanscisti, complottisti, xenofobi, invidiosi e violenti che avvelenano quotidianamente il web, spalleggiati dai politici della paura, quelli che cercano capri espiatori a tutti i costi, possibilmente stranieri, pur di non dire che la crisi è scoppiata anche per lo smantellamento della sanità pubblica che loro hanno voluto. È un esercito micidiale, più temibile dei drappelli di ubriaconi in crisi di astinenza che vanno in giro, spesso indisturbati, a provocare o spintonare i cittadini in fila davanti ai negozi. Ho la fortuna di abitare in un condominio felice e collaborativo. Ma so che altrove ci si denuncia per un nonnulla e la Polizia deve calmare ogni giorno dei pazzi resi ancor più pazzi dalla reclusione. Poveri agenti, stavolta devo essere solidale con voi.