L’Economia, 23 marzo 2020
La Cina si vendica del virus
Un grafico a forma di V, che dopo aver toccato drammaticamente il fondo, altrettanto velocemente risalga. Come le due ali della lettera V. È questo l’obiettivo dei pianificatori dell’economia a Pechino. Dobbiamo augurarci che abbiano ragione, perché la Cina si è trovata, oltre due mesi prima di noi, nella devastazione sanitaria e industriale causata dal coronavirus e, ora che ha arrestato l’epidemia, dovrebbe essere due mesi avanti al resto del mondo nell’inseguimento della ripresa.
Non dipende solo dalla produzione, cioè dall’offerta, ma anche e soprattutto dalla domanda, i consumi. E c’è già una suggestione di riscossa: quella V può stare anche per Vendetta. Si tratta della teoria secondo cui la gente, che per settimane, chiamata da Xi Jinping alla «guerra popolare contro il demone coronavirus», ha potuto fare solo spese essenziali di generi alimentari e mascherine, ora abbia una voglia sfrenata di «vendetta consumista». Nel senso che si desidera comperare di tutto, magari anche il superfluo.
Il fenomeno in Cina fu battezzato così all’inizio degli anni Ottanta, dopo il disastro della Rivoluzione culturale che voleva tutti uguali, vestiti di grigio e senza aspirazioni individuali. I cinesi volevano uscire in ogni modo da quegli anni bui, aprire attività imprenditoriali private, conquistare potere d’acquisto. Deng Xiaoping assolse quelle aspirazioni «borghesi» e «capitaliste» annunciando che «Arricchirsi è glorioso». Consumare beni non essenziali diventò una forma di «vendetta» contro l’oppressione delle Guardie rosse.
Sul «revenge spending» ora contano molto i grandi gruppi mondiali del lusso, dipendenti per il 30% dalle vendite in Cina. Sarebbe un bel respiro anche per il made in Italy.
L’ordine di Pechino è pressante: l’economia deve ripartire, con le precauzioni sanitarie ancora necessarie, ma senza più aspettare. Perché i dati di gennaio e febbraio sono stati da sprofondo rosso. La settimana scorsa, con i contagi quasi azzerati, ai quadri di partito è stato suggerito (ordinato) di dare l’esempio, andando di nuovo nei ristoranti e nei centri commerciali riaperti con orario normale. Il governo dice alla popolazione che bisogna restare sul chi vive, ma visti i dati buoni sul contenimento del virus ci si può permettere di uscire di casa. Anzi: si deve uscire. Per riaccendere il motore della produzione e dei consumi e ribilanciare i numeri terribili di gennaio-febbraio: produzione industriale -14%; vendite al dettaglio -21%.
Obiettivi e creatività
È la prima volta dal lontanissimo 1976 che la Cina non cresce: nei quattro decenni seguiti alla morte di Mao Zedong il tasso medio di espansione è stato del 9,4% all’anno. Però, gli analisti hanno trovato un motivo di lucido ottimismo anche in questo bollettino di perdite miliardarie. Xi Jinping il 23 gennaio ha ordinato di arrestare l’epidemia chiudendo i cinesi in casa, così ha dovuto fermare la macchina produttiva, i servizi non essenziali alla sussistenza, i trasporti. Raggiunto l’obiettivo sul fronte sanitario, ha avvisato il mondo di ciò che lo aspettava. «Un motivo importante per il quale Pechino ha reso pubblici numeri macroeconomici così terribili è mostrare al mondo globalizzato quanto può diventare dura la crisi. E infatti la Fed americana, la Bce europea e i governi delle potenze industriali si sono subito mossi per sostenere la domanda», sostiene Alicia Garcia Herrero, Asia-Pacific chief economist di Natixis. Un sistema che si può definire «coordinamento attraverso la minaccia comune».
Altra osservazione, questa volta di Li Keqiang, primo ministro di Pechino, un tecnocrate serio. «Non è un problema, al momento, dire se il tasso di crescita a fine anno sarà un po’ più alto o più basso. Conta che il mercato del lavoro resti stabile, dobbiamo fare ogni sforzo per tenere l’occupazione come massima priorità».
Al momento lo stimolo finanziario è limitato. Ci si affida di più alla creatività, rispetto alla crisi Sars del 2003 e a quella dei mercati del 2008, quando Pechino usò non il bazooka, ma il supercannone delle mastodontiche spese in infrastrutture. Si scorge creatività nel comportamento delle industrie.
La casa automobilistica BYD, visto che la domanda di nuove auto è ferma, ha convertito temporaneamente alcune linee nella produzione di mascherine; lo ha fatto anche la Aviation Industry Corporation of China (Avic) di Chengdu, specializzata nella costruzione dei caccia J-20 stealth. La tecnologia di precisione avionica permette a ogni macchinario di sfornare cento maschere al minuto, 24 ore su 24. L’esempio ci riporta alla nostra Piaggio, che nel dopoguerra riciclò bracci e ruote dei carrelli di atterraggio degli aerei per far correre la Vespa.
C’è il caso del colosso Tencent, che sta guadagnando nuovi clienti (15% in più a febbraio) per i suoi videogames e servizi musicali, ora che la gente sta a lungo in casa. Tencent sta anche assumendo programmatori per far fronte alla nuova domanda di chi gioca per battere l’ansia. La settimana scorsa hanno riaperto tutti gli Apple store in Cina; saracinesche rialzate anche da Starbucks, che promette di riprendere l’espansione nelle province cinesi liberate dal Covid-19 e annuncia 130 milioni di dollari di investimento per la più grande roastery fuori dagli Usa, a Shanghai.
Jack Ma, che l’anno scorso ha lasciato il timone di Alibaba, in prepensionamento volontario, con la sua fondazione di solidarietà globale sta inviando milioni di mascherine e attrezzature sanitarie in tutto il mondo, dagli Stati Uniti all’Africa. Un milione sono per l’Italia, arrivate con dedica speciale: «Dilegua, o notte! Tramontate, stelle! Tramontate, stelle! All’alba vincerò!». La musica di Puccini contro il nemico coronavirus.
Tornando al cinismo clinico dei dati, Goldman Sachs prevede che il Pil cinese perderà il 9% nel primo trimestre, rispetto allo stesso periodo del 2019; nel secondo trimestre il rimbalzo sarà limitato all’1,5% a causa della debole attività mondiale; ma poi risalirà sull’ala positiva della V, nei tre mesi estivi, con un +7,5% e in autunno correrà al 9,8%. Media del 2020 stimata al 3%: pochissimo per la Cina, un miraggio per noi.